Il Gabbiano di Cechov: dalla Serbia il teatro di Tomi Janežič
Siamo a New York. Gli anni Novanta sono appena cominciati, le affollate strade di Midtown Manhattan brulicano di taxi gialli, i tombini mandano fumo e le scale della subway sono un formicaio in piena attività. Al suono di un dolce jazz di sax e clarino, la macchina da presa segue, in montaggio alternato, diversi personaggi, li vediamo uscire dalla metro, passeggiare sugli ampi marciapiedi, smontare dal bus con le fiancate d’alluminio. Qualcuno di loro si incontra e si saluta calorosamente. Insieme entrano in quello che è a tutti gli effetti un teatro abbandonato, affacciato sulla 42esima Strada. Il teatro è fatiscente, la platea divelta, stucchi appesi per miracolo alle pareti ingrigite dall’umido. I personaggi si ambientano sfilandosi sciarpe e soprabiti, qualcuno si siede, si scambiano sorrisi. Tra loro un elegante e brizzolato signore sorride qualcosa mostrando lo spazio a due visitatori che paiono casuali e dando agli altri sfuggenti indicazione. I saluti si spezzano in piccole conversazioni, in un angolo una vecchia signora fa bollire una teiera e chiacchiera del più e del meno con un bell’uomo di mezza età, che dice di essere il dottore del paese. Qui accade qualcosa di straniante. La nostra memoria di assidui lettori di Cechov registra che il chiacchiericcio è improvvisamente fluito dentro le prime battute di Zio Vanja. In un attimo c’è Astrov che parla con l’amata balia.
Questa è la sequenza iniziale del film Vanja on 42nd Street, geniale film di Louis Malle che mette filologicamente in inquadratura una rilassata prova generale del celebre dramma di Cechov. Ma una sequenza sorprendentemente simile, quasi un omaggio, apre la titanica impresa del Gabbiano diretto da Tomi Janezic per il Teatro Nazionale Serbo, in scena a Firenze per Fabbrica Europa 2014. La splendida location industrial-archeologica della Stazione Leopolda ospita le quasi sette ore di questo affondo oceanico che della tragicommedia di Kostja e Nina non risparmierà mezza battuta, passando al vaglio di una analisi registica, scenica e attoriale davvero rara ogni segmento della psicologia, della società, dell’utopia immaginata da Cechov. Scanditi da tre intervalli di mezz’ora e accompagnati dalla traduzione simultanea a cui va il nostro applauso più caldo, i quattro atti dell’opera vengono presentati come quattro stadi di una ricerca quasi ossessiva.
Nel primo, che ci ha riportato a Malle, conviviale e informale, il quadrilatero di vecchie sedie attorno al quale siede il pubblico si lascia abitare da una divertente e ritmata analisi testuale dal vivo: gli attori vestono abiti comuni e maneggiano copioni, il regista condivide con loro la scena, spiegando qua e là al pubblico le detonazioni di senso delle varie battute, provando differenti ipotesi di resa e trasformando la “prova aperta” nella rappresentazione dal vivo della dinamica della creazione teatrale. Nel secondo atto ci sarà modo di stravolgere il tutto esplodendo in una forsennata e ultra-fisica azione scenica che è quasi un omaggio alla biomeccanica di Meyerchol’d, citato all’inizio come uno dei partecipanti alla prima lettura al Teatro d’Arte di Mosca di Stanislavskij. Il terzo costringerà il dramma in ritmi dilatati creando uno straniante dialogo quasi cinematografico tra la scena visibile in cui tutto è mimato e un dietro le quinte da cui arriva alle orecchie il radiodramma del rapporto quasi incestuoso tra Kostja e la madre Arkadina, celebre attrice nemesi d’amore e di mestiere e responsabile ultimo del mal de vivre del figlio. Lo straziante ultimo atto ribalterà ulteriormente il tutto tornando a scavare nel midollo del lavoro dell’attore, quasi per intero agito superbamente dalla compagnia ormai in costume di scena e estraendo la sequenza del ritorno della povera Nina delusa dai propri sogni di gloria in una videoproiezione che mescola le riprese originali delle prove a un patinato cortometraggio di muto bianco e nero.
Attraverso un’operazione ostica e dichiaratamente estrema (al punto che fin dall’inizio si autorizzano gli spettatori ad allungare le gambe e schiacciare pisolini) e lavorando per un anno e mezzo con straordinari attori giovani e meno giovani, un Teatro Nazionale ha consegnato al pubblico una lezione sull’essenza del teatro, sull’arte di interpretare se stessi sulla ribalta del tempo che passa, e della sua noia.
Se necessario è descrivere nel dettaglio il dispositivo, molto difficile è rendere il modo in cui un lavoro tutto sommato così cerebrale riesca a galvanizzare i sensi dello spettatore, invitato a un’immersione completa dentro la materia più cruda, che non è tanto la depressione, quanto l’evidenza della sua rappresentabilità. In un gioco così spietato, non privo di una certa retorica delle passioni e di qualche compiacimento “sperimentale” e il cui successo è molto aiutato dalla dimensione “durazionale” che sloga le articolazioni del tempo trasformando l’esperienza di visione in un rito iniziatico, a saltare agli occhi è il sottile carattere malinconico e tragico che tutti ci accomuna nell’incontro tra i nostri moti interni e una vita che si lascia accadere. Noi spettatori sempre e comunque, il resto chiuso in un cerchio di sordità borghese rotto soltanto dal suono di un colpo di pistola. «Fate in modo di portar via Irina Nikolaevna. Konstantin Gavrilovic si è sparato».
Sergio Lo Gatto
Twitter @Silencio1982
visto a Fabbrica Europa 2014
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IL GABBIANO
da Anton Pavlovich Cechov
regia, allestimento e luci: Tomi Janežič
cast: Jasna Đuričić, Filip Đurić, Dušan Jakišić, Milica Janevski, Deneš Debrei, Draginja Voganjac,
Ivana Vuković, Boris Liješević, Boris Isaković, Dimitrije Dinić, Jovan Živanović, Milica Trifunović, Tijana Marković Dušan Mamula
musicisti: Aleksandar Ružičić (flauti), Borislav Čičovački (oboe)
drammaturgia: Katja Legin
costumi: Marina Sremac – assistente costumi: Snežana Horvat
compositore: Isidora Žebeljan – suono: Tomaž Grom
assistente allestimento: Željko Piškorić – assistente alla regia: Dušan Mamula e Dimitrije Dinić
regia ed editing del film: Tomi Janežič – collaborazione all’editing: Brane Klašnja
riprese: Srđan Đurić – suono: Uroš Stojnić – tecnici luci: Miroslav Čeman, Marko Radanović
poster design: Tomi Janežič, Katja Legin, Srđan Đurić – produttore: Elizabeta Fabri
sound master: Dušan Jovanović – registrazione musiche: Zoran Marinković