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Eneide di Krypton. Ritorno al futuro

Dopo trent’anni, torna lo spettacolo Eneide della Compagnia Krypton

 

eneide di krypton
foto Guido Mencari

Sono passati trent’anni da quando un giovanissimo Giancarlo Cauteruccio ideava Eneide, spettacolo che ha dato avvio a una stagione epica dell’avanguardia. Proiezioni video, suoni, musica, laser, parole cantate e declamate e corpi vivi ricoprivano la scena mostrando al pubblico ciò che forse, prima di allora (era il 1983), non aveva mai visto. Ora, grazie a una vincente operazione di crowdfunding, tutto torna come in un sogno irrequieto, come la traccia di un dormiveglia dei sensi che non ancora accetta di pacificarsi e torna a farsi visibile, lasciando dietro di sé le coordinate di tutto un trentennio di ricerca. La stessa musica, che era stata firmata e incisa dai neonati Litfiba dove ancora militava il futuro fondatore dei CSI Gianni Maroccolo, viene da quest’ultimo riconsegnata alle orecchie del pubblico insieme ad Antonio Aiazzi e Francesco Magnelli. Ma, intorno, tutto è cambiato. Perché nel frattempo è cambiato il teatro.

Vedere oggi, al Teatro Studio Krypton di Scandicci, questo spettacolo che ha un solo anno meno di chi scrive significa partecipare a una sorta di rito. Quello che secondo Cauteruccio è il «poema dei vinti» convoca anche noi spettatori per assistere a un’elegia della disperazione. Con il passare del tempo, lo spettacolo – diviso in quadri che seguono il viaggio dell’eroe – ha perso, in scena, la vitalità dei corpi, scelti allora tra prestanti ballerini di discoteca. Il testo piove dagli altoparlanti o preregistrato o declamato dal vivo – con una voce roca che pare strisciare fuori da un sepolcro – dallo stesso regista, figura onnipresente eppure quasi sempre in ombra. Quando sceglie di mostrarsi, agitando le mani nella vaga direzione di un’orchestra o brandendo una lancia luminosa che taglia la scena invasa dai laser, la sua è una presenza volutamente sgraziata, goffa, disperata, ultima. È l’espressione di un radicale anti-eroismo, espressione del grande paradosso narrativo che dalla distruzione di Troia portava alla costruzione di Roma, attraversando l’Italia in un viaggio iniziatico crudele e sinistro.

eneide di krypton ph. guido mencari
foto Guido Mencari

L’Eneide di Krypton è soprattutto un’esperienza e non ha niente a che fare con il percorso dentro un museo. Se la sua potenza è ancora viva è perché evidente è ancora quell’urgenza di andare oltre i codici definiti. In questa opera d’arte totale la (sempre sorprendente) longevità del mito affronta la sfida a eternarsi dentro un’unica, tutto sommato semplice, operazione: investire lo spettatore (vero protagonista) con un muro sensoriale potente come un maremoto, un’onda anomala di stimoli visivi, uditivi ed emotivi che fa, a tratti, vibrare occhi e cuore. Solo così (e forse solo in un ambiente “sacro” come il Teatro Studio) è possibile salvare una follia come l’Eneide di Krypton senza chiuderla in ragionamenti sistemici troppo razionali, dai quali certa arte dovrebbe essere libera.

Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982

eneide di krypton
Guido Mencari

Certi artisti sono renitenti a invecchiare. Hanno sublimato in sé la tensione all’arte, ciò che li rende oltre il passo di ogni ipotetico convegno della e sulla avanguardia. Ciò accade a chi sa prendere un rischio, masticare la propria storia, servirsene per l’unico vero obiettivo della propria esistenza intima ed espressa: fare arte, distruggere confezioni, modificare visioni preconizzate. Giancarlo Cauteruccio ha messo al mondo l’Eneide con la nascente Compagnia Krypton trent’anni fa. Più uno. È questa una differenza sostanziale. L’anno 2013, quello delle celebrazioni, è stato di un libro che – per opera di chi ora scrive – ha cercato di collocare la compagnia nel panorama di tre decenni da quell’ultimo, finale. Ma è nell’anno successivo che l’Eneide torna ad affrontare sé stessa, una sorta di viaggio di ritorno dell’eroe Enea lungo i monumenti eretti del proprio mito, nell’anno in cui il mito non esiste più, è già passato, orma da cancellare, città distrutta alle spalle e vaghezza del non ancora esistente.

Solo in scena, Giancarlo Cauteruccio. Goffo tra le consolle di tre musicisti ingabbiati in una postazione da disk jockey. Cerca di abitare una scena che lo rifiuta, di prendere posizione con la sua presenza corporea in uno spazio che lui stesso ha contribuito a sacralizzare. Può un artista ammettere una sacralità? Può conservare un territorio intatto, quando la sua vocazione è di attraversare? No, non Cauteruccio. Troppo evidente la lacerazione della propria storia personale nel punto esatto in cui si fa collettiva.

eneide di krypton ph. guido mencari
foto Guido Mencari

Virgilio dell’Eneide voleva fare cenere, come ci ha raccontato Hermann Broch proprio in La morte di Virgilio. Ottaviano la salvò per le epoche successive. Dobbiamo considerare un caso l’incendio che distrusse i materiali di questo spettacolo qualche anno fa? Esiste davvero, nell’arte, il caso? Certo è che di quell’incendio oggi resta una traccia indelebile nell’opera che torna in scena: prima di tutto è il ritorno, il primo volo della fenice, la resistenza di una generazione di artisti che non vuole, più che altro non può, abdicare. Non può perché la loro arte è costituita di loro, della propria intimità organica. E allora Cauteruccio non può fare altro che mettersi nella scena, spingersi nella traiettoria del laser, scacciare nemici con una improbabile danza della battaglia, prendere quindi su di sé l’epica propria e quella di Virgilio, diventare l’Enea di entrambi, l’Enea impacciato di una storia fuori dal tempo (come sempre l’epica) che pure nel tempo la stessa storia sa imporre: partire da una città distrutta, Troia, e giungere alle fondamenta di una città da ideare, erigere, immaginare. Il viaggio di Enea, dell’architetto Cauteruccio, dalle macerie all’edificio.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

In scena fino al 18 maggio al Teatro Studio Krypton di Scandicci (FI)

ENEIDE DI KRYPTON, un nuovo canto
di Giancarlo Cauteruccio
musiche Litfiba – Beau Geste
eseguite dal vivo da Gianni Maroccolo, Antonio Aiazzi, Francesco Magnelli
progetto, regia e interpretazione vocale Giancarlo Cauteruccio

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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