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Generazioni alla deriva ne La radeau de la Méduse

radeau medusa
foto Ufficio Stampa

Lo spettacolo La radeau de la Méduse. L’età dell’incertezza di Antonio Viganò costituisce il momento conclusivo di un laboratorio di teatro ragazzi dal titolo omonimo, rivolto a ragazzi e adulti che desiderano indagare il tema del conflitto intergenerazionale. Come nella prassi tipica del saggio di fine percorso, esso si compone della selezione e del montaggio (curato dallo stesso Viganò) dei materiali proposti dai partecipanti, che vengono amalgamati in modo coerente grazie a un filo conduttore preciso: genitori e figli adolescenti sono costretti a convivere nel piccolo spazio vitale della famiglia e ad affrontare insieme le molte difficoltà dell’esistenza, senza però riuscire a costruire un rapporto autentico e sereno.

Questa idea è rappresentata poeticamente ripercorrendo la stessa vicenda dei naufraghi del quadro La zattera della Medusa del pittore romantico francese Théodore Géricault, a cui lo spettacolo allude di continuo in modo più o meno esplicito. Al pari di costoro, infatti, i cinque figli adolescenti e le cinque madri adulte si trovano ad andare alla deriva insieme verso un futuro incerto e a scrutare l’orizzonte, con l’ansiosa speranza di imbattersi in una nave di passaggio che li salvi. Nel far questo, tuttavia, essi trascurano proprio quel poco che la zattera offre loro, ossia l’occasione di sfruttare la grande vicinanza fisica per stringere legami forti con i propri compagni di sventura, che divengono invece degli sgradevoli estranei con cui si è obbligati a condividere alla meno peggio l’esiguo spazio vitale. Risultato, le liti che culminano nella sottrazione a tentativi di abbraccio, in provocazioni e scontri ravvicinati, o in episodi di leggero autolesionismo, che i genitori compiono prendendosi a schiaffi o a pugni, nei momenti in cui i figli rifiutano i loro gesti di affetto.

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Jean-Louis Théodore Géricault, La Balsa de la Medusa (Museo del Louvre, 1818-19)

Rispetto al quadro di Géricault lo spettacolo si distingue, però, per due scarti significativi. Innanzitutto sono solo le madri a rendersi conto di andare alla deriva e a chiedersi come sia stato possibile perdersi, trovarsi in questa sfortunata circostanza. Eccole dunque proiettare le proprie ansie sui figli e cercare di proteggerli da qualsiasi pericolo: il tutto rispecchiato dall’azione fisica di attaccare sul corpo di due adolescenti dei fogli su cui è scritto quanto si aspettano da loro («vorrei saperla con un posto fisso», «io lo vorrei un artista di spicco») e dal gesto di adagiare la testa dei figli su un morbido cuscino, per poi cantare una rassicurante ninnananna. L’effetto è ancora una volta quello di inchiodarli alla zattera, precludendo di spiccare il volo salvifico che la loro età ancora consente. Una delle madri recita ad alta voce la poesia L’albatros di Baudelaire, mentre le due adolescenti si liberano danzando al ritmo di una forte musica dei fogli che pendono dai loro corpi. Tale operazione paragona direttamente l’adolescente all’uccello marino, «principe dell’azzurro», che riesce a librarsi elegantemente in alto se le sue ali traggono slancio dai forti venti delle tempeste, mentre rimane goffo e impacciato sulla nave se questi vengono intercettati o spenti dal genitore, che viene alle volte paragonato a un dannoso «paravento».

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foto Ufficio stampa

Nel finale, mentre la sorte dei naufraghi della Medusa è lasciata da Géricault volutamente sospesa, al punto che l’osservatore del quadro non ha modo di capire se essi riusciranno a raggiungere la nave che intravedono in lontananza e cercano di attirare con gesti accorati, quella dello spettacolo si conclude felicemente. Madri e figli riescono in modo inaspettato a riavvicinarsi e a superare i loro conflitti, tant’è vero che verso il finale essi si dedicheranno al gioco commovente di farsi a turno il solletico con una rosa, che causa negli uni e negli altri un sereno riso liberatorio.
Forse questa riconciliazione ha pure l’esito di salvare anche gli adulti dalla zattera, permettendo loro di recuperare la gioventù perduta e di ritornare albatri adolescenti. Lasciando i figli liberi di volare e guardandoli nei loro giochi d’aria, infatti, i genitore possono ricordare la gioia dei loro slanci giovanili e ridare nuova forza alle loro braccia, trasformandole in ali piuttosto che deporle via come dei marci remi vecchi. Lo indicherebbe il contrasto tra l’inizio dello spettacolo, che mostra una madre che fa fatica a soffiare una piuma verso l’alto, cosa a cui la figlia riesce molto facile, e il finale dello stesso, dove un’altra madre suona una fisarmonica che solleva moltissime piume in aria.

Enrico Piergiacomi
Twitter @Democriteo

Visto al Teatro Cuminetti di Trento in aprile 2014

LE RADEAU DE LA MEDUSE
L’età dell’incertezza
di Antonio Viganò
regia Antonio Viganò
con i partecipanti al laboratorio Progetto Adolescenti “Le radeau de la Méduse – Modelli e Monelli”

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