Dopo aver debuttato al Teatro Olimpico di Vicenza, all’Auditorium di Roma Pippo Delbono e Petra Magoni hanno portato Il sangue, viaggio nell’Edipo di Sofocle attraverso musica e versi, anima e corpo.
Pippo Delbono. Nelle viscere di Edipo e di sé stesso
«Cessate il vostro pianto, non c’è nessuno immune dal dolore». Dopo aver attraversato l’epoca recente del teatro e della sua biografia, per lui medesimo campo d’indagine, con una reiterata e commovente discesa conica in sé stesso, Pippo Delbono si confronta con l’origine, doppia, della sua esistenza attuale: il sangue, in cui riconosce discendenza e in cui considera la dispersione dell’appartenenza, e l’archetipo doloroso di un amore impossibile da corrispondere. Egli si trova a essere il centro esatto di due cardini, sua madre da un lato – da poco perduta – e dall’altro Edipo, nodo primario di una devianza capace di ricostituire il fulcro estremo della sua arte. Delbono, in molti casi fin troppo affondato in una ricerca speculare alla propria figura, trova in Edipo l’essenza mancante sfuggita al controllo civilizzato e che torna invece in un grido strozzato che graffia le pareti dello stomaco, il proprio, certo, ma per un artista di ognuno che lo ascolti.
Il sangue. È questo il nome di uno spettacolo nato dalle viscere dell’Edipo Re sofocleo e da altre viscere che in esso riconoscono il grumo d’esistenza, quelle di un artista in perenne debito genetico che non recede all’opportunità di farsene vessillo e martire. Nome pressoché simile al film documentario che ritrae gli ultimi mesi giorni istanti della vita di sua madre, il sangue è materia che torna come macchia indelebile e marchio di provenienza, sangue di nascita, sangue di morte.
Con sé porta i versi di Edipo, colpevole e innocente di un duplice delitto in cui si insozzano contemporaneamente origine e discendenza; egli rincorre la tragedia, cade e si rialza forzando quei versi, è sconfitto dalla pronuncia e la combatte, il classico greco perde il mito e resta uomo, ingabbiato tra colpe e desideri, si anima di una sofferenza organica, presente, viva nel corpo sacrificale di chi la produce, nelle parole inguaribili di chi quell’origine la brama e – al tempo stesso – la uccide.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Petra Magoni. L’etereo controcanto
Sottrarre l’azione, depauperare la struttura dal movimento perché il moto reale della performance parta dalle viscere e alle viscere torni, perché la dinamica si generi dalla manifestazione dell’urto introspettivo. La voce di Petra Magoni è il controcanto etereo e terrigno insieme di un’Antigone melodiosa nel percorso di scarificazione e scarnificazione della pelle della scena. L’usignolo che le abita la gola e da anni spazia dal jazz al pop, dal rock alla musica accademica si offre al viaggio di Edipo come un accompagnamento, un’integrazione, come un fondamento, come un’eco, un sibilo senza che la contrazione diaframmatica determinata dalla seduta provochi un risentimento della sua riuscita armonica. Il corpo-voce di Delbono, torbido e profondo come quello di un complesso arcaico, incontra la voce-corpo della cantante in un rapporto di impasto, disgregazione, cesura o sincronizzazione a seconda dei momenti nel procedere della peregrinazione espressiva. I pezzi che si succedono lavorano sulla percezione complessiva per antinomia o per consonanza e non mancano di accogliere l’inserimento sporadico delle parole o delle flessioni tonali di Edipo, mentre sembrano quasi per principio di naturalità rimodellati dagli arrangiamenti per chitarra, liuto e opharion, curati da Ilaria Fantin. Dall’Hallelujah di Leonard Cohen, nel ricordo di molti riproposto da Jeff Buckley, sino alle versificazioni di cifra madrigalistica, da Amara Terra Mia a Nothing Compares to you, fino alla dipartita della Disamistade di Fabrizio De Andrè, il contrasto lirico e concettuale di picchi quasi da soprano con la pesantezza di un’ugola maschia, provvidenzialmente greve, coopera allo scavo del reticolo sotterraneo di un modo singolare di essere nel mondo, di attraversarlo e costruirlo nello stesso tempo, facendolo poetico. Sangue: colore purpureo, odore ferroso, consistenza di fluido, principale entità di propulsione vitale dell’organolessi. Voce: stimolo e impronta dei sensi, trafugazione e restituzione d’aria, per i più suono partorito dell’amalgama di biologia e spiritualità. D’altra parte non esiste corpo che attesti la propria verità materiale senza la trascendenza supposta e aggraziata di un’anima, come non esiste anima che speri di poter prescindere dal pregresso consistente di un corpo.
Marianna Masselli
Twitter @mari_masselli
Visto in marzo 2014 all’Auditorium – Parco della Musica di Roma
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IL SANGUE
ideazione e regia Pippo Delbono
con Pippo Delbono Petra Magoni
musiche Ilaria Fantìn liuto, opharion, oud, chitarra elettrica