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L’Offerta di Mirra e l’accattivante complessità di Alfieri

Recensione e conversazione. L’offerta di Mirra, visto al teatro Le Salette di Roma

 

Foto Fabio Daloiso
Foto Fabio Daloiso

Affascinante e perversa è la natura dell’umana sorte, e funesta o lieta sarà la sua fine. Incomprensibile agli occhi degli individui è invece la volontà cieca e beffarda degli dei; la loro benevolenza, del resto, a caro prezzo sarà pagata, poiché sempre avida di quella derelitta e mortale adorazione. Così interiore sarà dunque il conflitto, che muovendo all’ amore o all’odio contrapporrà vincitori e vinti nel campo di una guerra vissuta, ma mai dichiarata.

Mirra tragedia scritta nel 1784 dal drammaturgo e poeta Vittorio Alfieri, è riadattata da Francesca e Natale Barreca nello spettacolo teatrale L’Offerta di Mirra; lavoro presentato dalla compagnia Paltò Sbiancato, con la regia di Stefano Maria Palmitessa. Il titanismo dell’ Alfieri è qui ridimensionato nell’individuale agonia della giovane Mirra, costretta da Venere ad amare suo padre, vendetta divina causata dall’oltraggio alla beltà della dea da parte di Cecri, madre della ragazza. Tale dramma interiore provocherà tristi lutti e incomprensioni, ricoprendo d’infamia e disprezzo Mirra, la quale dopo aver confessato al padre Ciniro l’incestuoso amore, morirà suicida. Monica Maffei (Mirra) e poi Alessandro Calamunci Manitta (Ciniro) , Maria Grazia Casagrande (Pereo), Mary Fotia (Cecri), Tiziana Imperi (Sacerdotessa) e Marina Lorè (Euriclea) fanno la loro comparsa come liminali personaggi nel palcoscenico vuoto, in bilico tra l’immanente complessità terrena e l’estranea trascendenza. Sfilando – per alcuni momenti sospinti dalla macchina scenica di Silvano Martorana – in una sorta di interregno circoscritto da un telo bianco «che rivela delle azioni nascondendone delle altre», come ribadisce la protagonista Monica Maffei. I personaggi si alternano nell’esigua cornice, mantenendo per tutta la durata dello spettacolo una frontale comunicazione con il pubblico e in mezzo a esso, quasi a voler sottolineare una relazione mancata, con parole dirette a un destinatario inconsapevole. Dialogo potenziale che viene rappresentato dall’inciso coreografico di Mara Palmitessa, che con la sua corporeità funge da tramite nel confronto tra il re Ciniro e la regina Cecri. Il «sense of grotesque» – come ribadisce lo stesso regista – è esplicitato non solo dalla partitura dei movimenti, ma soprattutto dal vistoso e accurato trucco, che strania i protagonisti del dramma.

Foto Fabio Daloiso
Foto Fabio Daloiso

Come vuole sottolineare l’interprete del padre Ciniro «il mio personaggio potrebbe essere una sorta di Pierrot dei nostri giorni, il trucco è in contrasto con la recitazione e solo nella parte finale si arriva a una sintesi emotiva e visiva». L’«estetica visuale» del regista sembra a tratti incombere sulla drammaturgia scorrevole e accattivante, quasi a far prevalere la forma sul contenuto, ostacolando il senso e la comprensione della recitazione in versi.
A tal proposito i protagonisti tengono a precisare che «l’ attore, tranne nell’ultima scena, si sente imbrigliato in questa formalità convenzionale, quasi burattinesca. Tuttavia una simile struttura registica sottolinea la peculiarità di questo lavoro e alle difficoltà iniziali segue una cosciente incorporazione dei movimenti. Inoltre non abbiamo avuto l’opportunità di lavorare col trucco; noi lo indossiamo solo il giorno della prima, ma esso non risulta un involucro estraneo poiché riempito dall’idea di caratterizzazione dei personaggi voluta dal regista con la quale, fin dall’inizio, abbiamo iniziato a rapportarci».
Spiccano i ruoli di Mirra e Ciniro (Maffei e Calamunci Manitta) che tengono in scacco gli spettatori. La «muta malinconia mortale» del triste riso e dello sguardo di Mirra, figlia, si uniscono alla perversa e trasformista recitazione di Ciniro, padre. Lo spettacolo sembrerebbe dunque costruito intorno alla centralità dei due protagonisti, da essi agita con sapiente maestria. La loro capacità non è però sintomo di mera ostentazione, al contrario, essa riesce con discreta professionalità a rendere il lavoro dell’intero cast bilanciato e rispettoso di ciascun carattere.

La complessità di Vittorio Alfieri diventa dialettica giocosa e irriverente, incarnata dalla professionalità sfaccettata degli interpreti. Inatteso adattamento che seppur attinente a una tradizione grottesca del fare teatro, mantiene una propria peculiarità che lo rende reinvenzione accattivante di un classico di non facile fruibilità.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

visto al Teatro Le Salette in aprile 2014

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L’OFFERTA DI MIRRA

regia Stefano Maria Palmitessa
adattamento Francesca e Natale Barreca
con Monica Maffei e poi Alessandro Calamunci Manitta, Maria Grazia Casagrande, Mary Fotia, Tiziana Imperi, Marina Lorè e Mara Palmitessa
macchina scenica Silvano Martorana
musiche Silverio Scramoncin
trucco Accademia di Trucco Professionale
trucco di locandina Manuela Giorgino

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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