Sgombero Angelo Mai: azione innescata dalla Procura, il Comune non era a conoscenza
In un paese normale, nella capitale di un paese normale i vertici eletti delle istituzioni, una volta preso possesso dei propri spazi e poteri, andrebbero a parlare con chi gestisce luoghi come l’Angelo Mai e con stupore chiederebbero: «Ma veramente voi fate tutto ciò da soli? Senza finanziamenti, senza un aiuto minimo da parte dello Stato o dei precedenti sindaci? Avete addirittura attivato laboratori di musica e teatro con la scuola primaria. In questi anni avete sostanzialmente colmato un vuoto, avremmo dovuto farlo noi…». In una capitale che dovrebbe competere con Berlino, Parigi o Londra per offerta culturale, un assessore alla cultura cercherebbe di capire almeno come rendere la vita facile a centri culturali nati dal basso con le sole forze dei cittadini e degli artisti che ci lavorano.
Ma non solo non siamo in un paese normale, siamo a Roma, da un po’ di anni capitale della decadenza. Ecco che visti i precedenti, ovvero l’assenza della Giunta Marino rispetto alla necessità di scelte importanti dal punto di vista delle politiche culturali, vista la chiusura della stagione del Teatro Palladium, lo sgombero dell’Angelo Mai Altrove avvenuto questa mattina non sembra destare stupore.
Il discorso vale anche per i comitati per la lotta abitativa che con l’Angelo Mai collaborano da sempre: stamattina, poco dopo l’alba, le camionette della polizia sono arrivate in gran spiegamento in via delle Acacie e all’ex sede distaccata dell’Istituto Hertz, ad Agnanina. In tutto sono state sgomberate 68 famiglie.
Ora al di là delle accuse – capi di imputazione pesantissimi come associazione a delinquere ed estorsione, oltre che “esercizio ricettivo abusivo”– accennate anche alla conferenza stampa tenuta a mezzogiorno nel Parco San Sebastiano, adiacente all’Angelo Mai, uno dei tratti distintivi della vicenda è ancora una volta ravvisabile nell’immobilismo del Campidoglio. In conferenza stampa è stato ribadito: «il Comune non ne sapeva nulla». Ma come può un Sindaco non sapere (o non essere avvertito) che dall’oggi al domani un’indagine della procura sta per mettere sulla strada decine di famiglie e sta per mettere i sigilli a uno dei pochi poli culturali innovativi della città?
Questo e altro stamattina si chiedeva il drappello di persone accorso a prestare solidarietà all’Angelo Mai prima di darsi appuntamento alle 17 per un incontro con la cittadinanza. Si leggeva un dolore non taciuto negli occhi dei più giovani, tra quelli che nello spazio di Via delle Terme di Caracalla ci sono arrivati da poco e non hanno vissuto lo sgombero della precedente sede a Monti, poi ci sono gli occhi induriti dei più vecchi. Artisti, operatori teatrali e culturali che da vent’anni e più battono i pugni sul marmo: tutti di fronte a loro intravedono il deserto che avanza su Roma.
Il Comune di Roma, attraverso il consigliere Gianluca Peciola, ha avviato una trattativa con la questura per chiedere l’immediato dissequestro, ma il messaggio è chiaro e forte: in questa città la cultura non può crescere dal basso, non può innovare; l’arte non deve permettersi di cercare strade nuove e soprattutto non deve e non può produrre pensiero sovversivo, non può mettersi in relazione con esperienze di lotta per i diritti, non può prestare spazi e forze per farsi agorà di un dibattito civile e politico più ampio… l’arte faccia l’arte. I lavoratori del Teatro Valle Occupato sono avvertiti. Benvenuti nell’era Renzi.
Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox
In diretta dall’Assemblea pubblica del 19 marzo 2014
A cura di Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
«L’Autonomia e l’indipendenza non sembrano contare nulla, invece sono un’alternativa concreta alle difficoltà. Una politica non in grado di comprendere la complessità del contemporaneo. Crediamo che le istituzioni debbano promuovere e sostenere chi si prende cura della dimensione culturale e dunque sociale.
Gli occupanti ricordano laboratori, raccolta fondi per la costruzione del primo asilo nido a Gaza, la formazione permanente rivolta alle professionalità dello spettacolo e delle arti. L’Angelo Mai è un luogo di incontro, di socialità diffusa, che risponde alle esigenze di confronto di una società. Feste di compleanno dei bambini del quartiere, spazi per riunioni di genitori, insegnanti e famiglie. Rivendichiamo con forza la nostra legittima illegalità».
«Non c’è nessun motivo, neanche legale, che mette sulla strada tutte quelle persone. Quelle famiglie devono veder riconosciuto quel fondamentale diritto alla casa. E le istituzioni devono imparare ad arrivare prima con dichiarazioni e promesse. Non si può arrivare sempre all’ultimo momento, a cose fatte, a sgomberi eseguiti, ma si dovrebbero produrre le normative adatte a evitarli».
«I bambini hanno il diritto a usufruire della competenza e dell’attività dei professionisti che stanno facendo questo lavoro per un territorio che ne ha continuo bisogno, perché di questo dovrebbe occuparsi».
«L’Assessore Barca non sapeva niente, ma allora ci chiediamo che cosa faccia di lavoro. Ci fa piacere che il Sindaco voglia prendere a cuore la questione, ma qui non c’è, invece vorremmo che ci mettesse la faccia, che mandi quelle carte ufficiali che sono necessarie a mandar via queste camionette, che sono brutte. Noi siamo per la bellezza».
«Dovremmo superare tutte le differenze, in tutti i movimenti, per raccoglierci intorno a un tavolo. Noi non ammettiamo di essere governati dai caschi blu. Usciamo dall’illegalità creando una nuova e ufficiale legalità. Fare politica è governare le trasformazioni della società».
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Dal blog di Graziano Graziani: Sgomberato l’Angelo Mai e due occupazioni abitative. Ma chi è che governa a Roma?
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Le chiedo, a proposito dell’esperienza del Valle Occupato, se sia lecito che, pur colmando dei vuoti gravissimi lasciati da autorità inette e da organismi pubblici nella migliore delle ipotesi latitanti, l’affidamento della gestione di uno spazio importante dal punto di vista storico, artistico, urbanistico e culturale sia lasciato a chi, per primo, ha compiuto un’azione che i “benpensanti” si ostinano a considerare illecita. Cerco di spiegarmi meglio, per non essere frainteso: se il Valle deve essere un bene comune, come si può garantire che lo sia veramente, senza prevaricazioni e favoritismi nella gestione della linea culturale da parte di chi ora, giustamente, reclama attenzione nei confronti di un potere inerte e senza dare l’impressione di volersi solo sostituire ed insediare a sua volta in un posto di “potere”? Quali sono i confini tra legalità e partecipazione, diritto e condivisione? Insomma: perché proprio a loro e non ad altri?
Grazie di aver letto e commentato Marcello,
certo quello da te espresso è uno dei punti cruciali dell’operazione, ma la partecipazione è l’altro polo determinante. E per la mia esperienza fatta di dialogo (pieno di interrogativi) con i lavoratori del Valle, e di un certo numero di incontri ed assemblee, posso confermarti che è con proprio con la partecipazione che si misura il concetto di Bene Comune. Alle assemblee ho visto parlare qualsiasi tipo di persona, dall’intellettuale più o meno conosciuto, passando per la semplice spettatrice socia della Fondazione fino a chi era lì solo per capire e commentare. Insomma dato che per statuto è una fondazione aperta chi ha voglia di migliorarla, di cambiarla, di dire la propria e di rimboccarsi le maniche non dovrebbe avere problemi. Da quello che so ora stanno capendo insieme ad avvocati e giuristi come continuare e rendere effettiva l’esperienza della fondazione nonostante la bocciatura del prefetto.
grazie
Andrea Pocosgnich
io li appoggerei pure (fanno girare cultura, e questo è lodevole), ma si appropriano illegalmente di beni pubblici, tra bar e ingresso guadagnano pure bene, non pagano le tasse… Che facciano un bel progetto imprenditoriale, che aprano un mutuo e paghino le tasse!
l’articolo contiene un errore fondamentale: le accuse di cui la procura parla polverizzano qualsiasi ambizione culturale. per un sito che si chiama Teatro e Critica il fatto che si abusi di un posto a prezzo zero in concorrenza sleale con tutti i regolari, non evidenziare che un simile comportamento distrugge posti di lavoro anziché crearne, è quanto meno paradossale.
Beh il problema è molto più complesso purtroppo di come lo fate voi, Bramante ed Alceste.
Per quanto riguarda il progetto imprenditoriale e il mutuo invocati da Bramante, è naturale che qui entriamo nel fuoco dell,a lotta politica: per come sono ora le leggi sulle imprese culturali in Italia l’Angelo Mai ce la farebbe? No, la risposta è no perché le leggi sono inadeguate, non ci sono sgravi fiscali, non ci sono aiuti per un settore che è più debole nel mercato. E’ palese che questo è uno dei casi in cui il mercato non può autoregolamentarsi, ma deve esserci un intervento dello Stato. L’innovazione artistica nelle arti performative come nella musica è schiacciata nel mercato, i motivi sono tanti… se non fosse così nei primi posti delle classifiche avremmo un certo cantautorato e non solo i fenomeni commerciali, se non fosse così nei grandi teatri vedremmo anche spettacoli di ricerca, di artisti che non si accontentano di fare il compitino e di divertire il pubblico. Dunque quando questo intervento da parte dello Stato non arriva ecco giustificata una presa di posizione politica di artisti e cittadini che cercano di capire come colmare questo vuoto.
Per quello che riguarda le accuse, appunto lo dice la parola stessa, per ora sono accuse, in caso di condanna potrei darti ragione Alceste… sulla concorrenza sleale non sono per niente d’accordo, è una vecchia storia, molti degli artisti che passano in spazi come l’Angelo Mai troverebbero grosse difficoltà ad andare in altri posti commerciali… dove magari invece di metterli in un programmazione seria ti chiedono l’affitto della sala. L’occupazione, lo ripeto per l’ennesima volta, non è certamente la soluzione, ma è palesemente la conseguenza di una desertificazione culturale in atto.
Poi sulla bacchettata da maestrino che tenti di darci tirando in ballo quello che questo giornale dovrebbe fare, caro Alceste, stendo un velo pietoso…il nostro lavoro quotidiano, le decine di articoli sulla politica teatrale di questa città parlano chiaro
grazie
Andrea Pocosgnich
Questione molto complessa e che facilmente può avvitarsi: più il pubblico (la mano pubblica, s’intende) si ritira dalla “cultura”, piu’ si favoriscono le occupazioni, più si creano rischi di concorrenza sleale, favoritismi e ingiuste appropriazioni di beni pubblici, con conseguente maggior “ritiro” dello Stato dal finanziamento a fondo perduto della cultura. Ad essa si salda un vecchio dibattito: da una parte i fautori del libero mercato anche in questo settore (cosa per me improponibile, altrimenti avremmo in scena solo Fiorello e Brignano), argomentano la loro tesi attraverso certi storici sprechi dei teatri stabili (da vecchio frequentatore dei teatri ricordo con gioia mista a rabbia meravigliosi allestimenti ronconiani – il “Pasticciaccio” su tutti – durante il periodo romano, eccelsi e costosissimi, rimasti in scena solo pochi giorni e mai andati in tournée), e dall’altra quelli che invece sostengono a spada tratta il meccanismo del finanziamento a pioggia. Piccola conclusione: manca una politica culturale degna di questo nome nel nostro Paese.
no, non voglio dare lezioni di giornalismo
ma essere una controparte per bilanciare la discussione ed evitare che si limiti a dei proclami,
pur restando nella brevità concessa dal mezzo.
in quanto a completezza i post contenuti il questa sezione di questo blog :
http://educazionesentimentaledellefemmine.wordpress.com/category/teatro-valle/ ,
da cui mi pare sia partita l’unica controinformazione riguardante il sedicente lavoro degli occupanti,
parla chiarissimo ed esplora con completezza parte delle ragioni contrarie alle vostre.
parliamone, se volete…..