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I Giuffrè riscrivono La lista di Schindler

Recensione La lista di Schindler con Carlo Giuffrè al Piccolo Teatro Eliseo

 

La lista di Schindler con Carlo Giuffrè
foto ufficio stampa

Il punto di partenza della fabula è il romanzo del 1982 di Thomas Keneally che preparò le fondamenta per la pellicola di Steven Spielberg del 1994, quel Schindler’s List che scosse gli animi forse come mai aveva fatto prima il cinema sulla questione dell’Olocausto, un film che divenne punto di riferimento imprescindibile per la memoria di quegli anni tragici. Liberare la figura dell’imprenditore tedesco Oskar Schindler dall’aurea impostagli dal film è un’impresa da titani. Insomma ricordate il mito senza mitizzarlo, ma dimenticatevi del film: di quello struggente bianco e nero, di un cinema che si fa documento e colpisce allo stomaco imprimendo in generazioni di spettatori una ben precisa immagine della Shoà. Francesco Giuffrè riparte da qui, dalla lista di Schindler imbarcandosi in un’impresa familiare che ha come obiettivo quello di rimettere al centro della narrazione l’uomo più che l’eroe: il regista (Delitto e castigo, 1984) affida al padre Carlo Giuffrè (convincente e quasi mai retorico) il ruolo del protagonista e ad altri quattro interpreti (appassionati Marta Nuti, Pietro Faiella, Valerio Amoruso, Riccardo Francia) chiede di farsi emanazioni, più che personaggi, della memoria di Oskar. La memoria appunto e la morte, attorno a questi due poli si innervano i temi e le modalità sceniche con cui al Piccolo Eliseo di Roma è allestito fino al 30 marzo La lista di Schindler.

La lista di Schindler con Carlo Giuffrè
foto ufficio stampa

Francesco Giuffrè, autore anche del testo insieme a Ivan Russo, raccorda l’intreccio alla morte prossima – o già avvenuta – del protagonista e da qui muove i passi per fare della scena uno spazio dei ricordi, ma in realtà si spinge anche più in avanti. Siamo nel ’74, anno della morte di Schindler, e il vecchio è chiuso in un non luogo, una specie di inferno sartriano dove il carceriere è proprio un gerarca nazista. Tutto avviene in una zona posteriore del palco semitrasparente allo sguardo del pubblico, qui un paio di sedie e un tavolino rappresentano l’alcova dove il subdolo nazista cerca di circuire il vecchio eroe. Le musiche di Gianluca Attanasio e le luci di Giuseppe Filipponio segnano quell’atmosfera fortemente empatica che già abbiamo avuto modo di riconoscere negli altri lavori del regista romano. La missione del carceriere è quella di comprendere le motivazioni che hanno determinato le attività della più importante «variabile non calcolata del Partito Nazista», così da poter creare un quarto Reich senza ripetere gli errori del passato. La domanda assillante per il rappresentante della croce uncinata è una, e naturalmente è il quesito attorno al quale tutto ruota, anche ora: perché Schindler ha scelto di rinunciare a tutto pur di salvare degli ebrei?

La lista di Schindler con Carlo Giuffrè
foto ufficio stampa

Il presente afflitto dalla minaccia latente di una rinnovata presa del potere da parte di sedicenti epigoni del Führer– idea genuinamente folle che però rimane fin troppo laterale – è in realtà contenitore dei ricordi. I personaggi che dal buio appaiono dinnanzi a Oskar sono impressi nel passato, vestono i panni di una giovinezza vissuta in guerra: la moglie dell’industriale, il fedele ragioniere con cui divise l’onere della lista, il capitano al quale cercò di strappare via qualche vita umana vincendola pure a carte. Figure che mettono in crisi Schindler e cercano di smontarne l’icona eroica.
Su un binario drammaturgico parallelo corre invece il tentativo più interessante di Giuffrè. La deportazione degli ebrei dal ghetto di Varsavia ai lager viene restituita senza parole in un una partitura di sketch muti e tragici che scandisce dal 1939 al 1945 la vita di due uomini e una donna alternandosi con la vicenda principale. Sono loro, come in un film muto, a raccontare di una vita dismessa, costretti a rinunciare a tutto, nel tentativo quotidiano di non perdere la propria umanità; non hanno nome, sono tutti e nessuno. Intensa la relazione amorosa tra due di questi che si spinge fino a un commovente matrimonio celebrato di nascosto tra le angherie del campo di concentramento. Eppure anche qui lo spettacolo sembra non riuscire a spingersi oltre, avrebbe giovato uno sguardo verso approcci teatrali più fisici e clowneschi che una mimica fin troppo semplice e a volte scontata. Peccato, le intenzioni sembrano viaggiare col freno tirato rischiando di seppellire un’urgenza che avrebbe desiderato un rischio maggiore.

Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox

in scena fino al 30 marzo 2014
Piccolo Teatro Eliseo [cartellone 2013/2014] Roma

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LA LISTA DI SCHINDLER
scritto e diretto da Francesco Giuffré
con Marta Nuti, Pietro Faiella, Valerio Amoruso
e Riccardo Francia
scene Andrea Del Pinto
disegno luci Giuseppe Filipponio
musiche Gianluca Attanasio
costumi Sabrina Chiocchio
realizzazione video Letizia D’Ubaldo
produzione Teatro Diana OR.I.S.

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

1 COMMENT

  1. Ciao. Ho visto lo spettacolo. Devo dire che mi è piaciuto. Forse qualche lentezza ma nel complesso l’ho trovato invece molto coraggioso. Proprio nel raccontare l’olocausto con questa trovata del “MUTO”. Non sono d’accordo quando dici che gli attori avrebbero dovuto usare clownerie! Cosa vuol dire? Movimenti esasperati per raccontare una tragedia così? Poi non trovo che si vada su mimiche semplici ma su metafore molto forti (vedi scena della doccia) dove è l’attore che prima sputa l’acqua e poi la vaporizza a creare nuvole di gas! O quella deli viaggio del treno dove l’attrice alla fine resta con i capelli corti…insomma ho trovato delle idee molto forti che mi hanno fatto arrivare la tragedia e francamente vederli fare capriole o facce esasperate tipo clwon non ce li vedo proprio!!
    La parte drammaturgica poteva essere forse più incisiva ma ho trovato interessante l’attualizzazione con la figura del neonazista carceriere.
    Bravissimo uno dei grandi vecchi del teatro italiano in questa veste così insolita!

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