Recensione dello spettacolo Tre atti unici da Anton Čechov
La profondità emotiva e la densità umana dei personaggi di Anton Čechov hanno inaugurato, tra la fine del XIX e agli inizi del XX secolo, una nuova modalità di rapportarsi al testo teatrale costruito all’insegna di una compenetrazione tra romanzo e dramma. Il suo poco successo come romanziere ha permesso tuttavia la creazione di una drammaturgia costituita da microdrammi potenziali, delineati con minuziosa attenzione e frutto di un’attenta osservazione della realtà e dei suoi tipi scenici. Tuttavia i suoi testi non ebbero subito il successo meritato, al contrario, furono sempre accolti dalla critica con numerose riserve dovute soprattutto alla difficoltà di accettare i suoi personaggi, così complessi, contraddittori, nevrotici e umani. Delineati attraverso una precisa biografia scenica e una drammaturgia degli oggetti, essi si presentavano a un pubblico ancora impreparato a simili sfumature di personalità, così attentamente costruite ma altrettanto così difficili da interpretare.
D’altronde chi è Zio Vanja, come posso rappresentare la profondità insondabile di Astrov o le ambizioni di Ol’ga, Maša e Irina, e chi è Čaika? Esiste una parte per essi? Un ruolo preciso e chiaro che basta imparare a memoria?
TSI la Fabbrica dell’Attore e Fattore K presentano Tre atti unici da Anton Čechov, spettacolo ideato e diretto da Roberto Rustioni e in scena fino al 23 febbraio alla Sala Studio del Teatro Vascello. Una pièce di trepidanti frammenti di umanità nella quale vengono portati in scena Una domanda di matrimonio, L’Orso, vaudevilles in atto unico entrambi del 1888, e L’anniversario, una farsa scritta nel 1891. Quattro gli attori in scena, due donne Valentina Picello, Roberta Rovelli e due uomini Antonio Gargiulo e Roberto Rustioni alle prese con il proprietario terriero Ivan, con la sua ipotetica futura moglie Natal’ja; la vedova Elena e l’ex ufficiale Smirnov, insieme al presidente di una piccola banca Andrej e il suo impiegato Kuz’ma.
Mentre ci si accomoda nella sala al di sotto del teatro, gli attori sono già in scena, parlano, scherzano e si preparano, sembra quasi interromperli durante le prove; luci soffuse ai lati, sedie tutt’intorno a perimetrare lo spazio e sulle quali sono poggiati alcuni oggetti come una cornice, una pistola, una camicia, scarpe rosse. Non vi sono cambi di scena, chi non recita ascolta in silenzio e partecipa emotivamente ai racconti.
Quasi un Kammerspiel dove possiamo sentire il respiro affannoso e ansioso della preoccupazione di Natal’ja o la rabbia e lo sdegno represso di Kuz’ma; godere della danza sofferta e delirante della vedova Elena ed emozionarsi per l’amore ritrovato di Smirnov. Dialoghi che risentono dell’assenza del proprio interlocutore, comunicazione interrotta e sospesa, la quale si sfoga nelle grida lanciate in aria per poi ricadere in un demoralizzante silenzio. La crisi è intesa come prologo alla catastrofe, preparata, sentita e desiderata, in un climax di incomprensioni al quale si aggiunge quell’ironia cechoviana pungente e sarcastica, riflessa negli occhi stanchi di una moglie ubriaca che affoga il volto paonazzo in un bicchiere di vino. Lodevole è la capacità degli attori di rendere queste sfumature così concrete quasi da toccarle con mano, in un ascolto simpatetico continuamente alimentato da una tensione tangibile, tra gli alti e bassi di relazioni perfettamente intricate.
Il termine adattamento non sarebbe appropriato a definire un simile lavoro, Rustioni non adatta Čechov e i suoi molteplici, sfaccettati, personaggi; piuttosto li rincontra nella confusione moderna e contemporanea, li fa parlare in dialetto, li fa entrare in un’ azienda in crisi, o nella danza in solitudine di una signora ricca e borghese, nel non ascolto quotidiano e nel riso isterico di chi è sull’ orlo del baratro.
Al di là delle candidature ai Premi Ubu (Antonio Gargiulo come miglior attore al di sotto dei trent’anni e Valentina Picello come miglior attice), Tre atti unici da Anton Čechov è l’eco moderna di una tradizione, il trait d’union tra spazio e tempo, la mise en scène dell’attualità dell’esserci.
Tornando ai nostri iniziali quesiti, come portare in scena un classico? Spogliandolo con sensibilità e bravura della sua aura di classicità per avvicinarlo, e poi stringerlo quasi a soffocarlo nelle maglie inconsistenti del nostro improbabile e incerto presente.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
visto a Teatro Vascello nel febbraio 2014
TSI la Fabbrica dell’Attore – Fattore K
TRE ATTI UNICI DA ANTON CECHOV
ideazione e regia Roberto Rustioni
drammaturgia Chiara Boscaro
consulenza Fausto Malcovati
con Antonio Gargiulo, Valentina Picello, Roberta Rovelli, Roberto Rustioni
assistente alla regia Luca Rodella
movimento coreografico Olimpia Fortuni