Tutto è bene quel finisce bene. Ma in questa frase c’è un bisticcio di fondo: tra bene e bene, presunto il primo quanto il secondo, c’è un verbo senza equivoci che pone termine a qualcosa e giusto perpetua il suo rimpianto. Consolazione? Il secondo bene può esserlo, scalpitando fra le moine della mistificazione e l’impaccio malcelato dalla complicità. Se già da oltre un mese con un comunicato ufficiale la Fondazione Romaeuropa, causa la mancata chiarezza circa i fondi previsti per l’anno 2014 da parte degli enti locali, ha dichiarato di aver cancellato la stagione già programmata al Teatro Palladium di Roma di cui ha la gestione dal 2003, di ieri è la notizia che il teatro sito nel cuore del quartiere Garbatella tornerà nelle mani dell’Università Roma Tre – proprietaria della sala – che aveva precedentemente il compito di condurne le attività, grazie a un accordo siglato proprio con le amministrazioni Regione Lazio e Comune di Roma (Roma Capitale).
La notizia era in realtà nell’aria da tempo: già durante il Romaeuropa Festival 2013 nello scorso autunno non erano poche le voci, fin dentro i palazzi istituzionali, di una riconsiderazione dell’operato della Fondazione in seno alla città di Roma, cavalcando un vecchio e abusato proposito che il dialogo con la città preveda esclusivamente una relazione permeabile col territorio e non, come invece da progetto culturale che già nel nome pare evidente, la possibilità di sollevare la bassa proposta cittadina ospitando grandi nomi del panorama internazionale, come è stato quest’anno per Jan Fabre o Romeo Castellucci, Guy Cassiers o Thomas Ostermeier. Eppure la Fondazione non ha mai fatto mancare proprio quell’apporto alla città per la città, ospitando per sette edizioni il festival nato come vetrina del teatro indipendente romano, Teatri di Vetro, poi divenuto negli ultimi anni un vero e proprio festival con vocazione multidisciplinare, così come le produzioni annuali della nobile e per questo dimenticata opportunità che è stata ZTL_pro, Zone Teatrali libere, etichetta in forma di rete che teneva insieme le forze di chi (Rialto Santambrogio, Angelo Mai, Teatro Furio Camillo, Triangolo Scaleno Teatro, Kollatino Undergrond) ha cercato promuovere creazione in una città di rappresentazione.
Proprio oggi che la vicinanza di area politica tra città e regione ha potuto suggerire una sistematicità di scelte oculate per stabilizzare processi virtuosi, prende invece corpo questo vecchio adagio della “sinistra” cultura locale che si trova pericolosamente a specchiarsi nelle politiche socio-culturali di quartiere promosse dalla controparte: il Palladium è ormai, forse gli assessori non se ne sono accorti, un teatro di interesse nazionale che in questi anni ha visto crescere talenti operanti a Roma e ha ospitato i migliori artisti di altre aree geografiche; ma soprattutto, con la mancanza del Teatro India chiuso per restauri fino a data ancora incerta (l’assessore Barca ha dichiarato nella conferenza stampa per i nuovi vertici del Teatro di Roma che «sarà consegnato dopo l’estate». I bookmakers inglesi, colti da improvviso pudore, hanno chiuso ogni eventuale scommessa…), è con il Vascello il solo palcoscenico di rilievo adatto allo spettacolo contemporaneo (e l’unico di utilizzo pubblico).
Appare invece evidente come la riconsegna all’Università, che tanto fa sollazzare soddisfatti gli assessori e i consiglieri, rischi di essere un decisivo e goffo passo indietro verso la riqualificazione di Roma come grande città d’arte, sollevandola dalla sciatta provincia che sta già da tempo pericolosamente diventando. Il timore è duplice e riguarda da un lato la dispersione di un lavoro decennale capace, non senza qualche colpevole chiusura, di rendere Roma uno scalo importante del viaggio europeo e dall’altro il dubbio che le risorse previste proprio da Regione e Comune siano fatte della stessa materia di quelle che la Fondazione, ad esempio (che nel frattempo con un comunicato ha dichiarato di non essere coinvolta nei nuovi progetti), soltanto a novembre ha visto tagliare di 300mila euro. Per scongiurare questi timori non ci resta che provare ad aver fiducia sulle attività promesse, nelle quali si dichiara innanzitutto la volontà (ovvio per un’università…) di farne un polo di formazione, e altri alti propositi tutti ancora da immaginare. Tutto è bene quel finisce bene? Tutto finisce così bene che quasi nessuno si accorge di ciò che è appena finito.
Simone Nebbia
Twitter @simone_nebbia
Leggi anche l’articolo di Paolo Fallai sul Corriere della Sera Roma
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