«Mammina Golda che prepara il brodino per i suoi soldati, e in fondo a quella pentola c’è del sangue». La schiettezza senza mezzi termini e la dura realtà di queste aspre parole, danno inizio allo spettacolo Il Balcone di Golda di William Gibson in scena dal 21 gennaio al 2 febbraio al Teatro Vittoria, nell’ adattamento di Maria Rosaria Omaggio con Paola Gassman nei panni di Golda Meir. Paragonata a Margaret Thatcher per il carattere risolutivo e tenace, Golda Meir è stata la prima donna ministro del governo israeliano durante il periodo più complesso della storia di questo paese: dalla sua fondazione nel 1948, passando per la guerra dello Yom Kippur, poi all’ attacco a sorpresa da parte di Egitto e Siria, fino ad arrivare all’ attentato dei giochi olimpici di Monaco nel 1972.
Il bianco e nero sono le due facce antitetiche della vita di questa donna, divisa tra gli affetti famigliari (una madre severa, il marito caparbio, i figli lontani), e la dimensione politica, nella quale la diplomazia internazionale e la speranza di una “terra promessa” si stagliano su di un orizzonte di guerra. I due colori rappresentano il chiaro e lo scuro di un’ esistenza fatta di luci e sopratutto di ombre: l’infanzia vissuta in miseria e nel timore dei diffusi attacchi di antisemitismo nella città natale a Kiev, i quali segnano la sua vita e riaffiorano nelle scelte politiche; la fuga con la famiglia negli Stati Uniti, e la partecipazione ai movimenti sionisti che la avvicineranno in seguito al futuro fondatore dello Stato di Israele, Ben Gurion.
Bianco e nero che ritroviamo nello «spazio indefinito, come fosse la mente di Golda» voluto dalla regista per la messinscena, e nelle immagini di repertorio che scorrono alle spalle dell’attrice finalizzate a suscitare emozioni, senza fini documentaristici, come sottolinea la stessa Maria Rosaria Omaggio, « facendo sì che lo spettatore partecipi intensamente a una narrazione biografica ma non pedissequa ». Paola Gassman unica protagonista, riempie la scena con la sua bravura che si esplica in una gestualità risoluta, fendendo lo spazio con azioni discrete e precise, sempre drammaturgicamente giustificate e mai ridondanti, muovendosi con padronanza scenica tra le due sedie e il tavolo che, dividendosi in due parti, a volte diventa il balcone della casa di Golda a Tel Aviv, e altre quello della struttura di armi nucleari di Dimona. Il passo della donna è lento e malconcio, come di chi possiede sulle spalle anni di scelte e di lotte, portate avanti con la fermezza di una voce adesso senile e rauca, ma ancora stentorea, pronta a prendere posizione per il bene di un popolo mutilato: «salvare settecentomila ebrei dopo che ne abbiamo persi sei milioni». La musica è quella del Premio Oscar Luis Bacalov, la cui bellezza e poesia sembra tuttavia non trovare una dimensione adeguata per poterla apprezzare e goderne, in quanto utilizzata come mero sottofondo musicale e sovrastata dalle parole sulle quali ci si concentra per la comprensione delle vicende storiche e biografiche. Il dualismo strutturale della regia rimane purtroppo relegato nelle opposte tinte di colore, non concretizzandosi in un’attitudine super partes indispensabile per comprendere la questione israelo palestinese. L’univocità che traspare dal testo di Gibson risulta essere il frutto di una memoria non sociale ma di stampo politico preoccupata a schierarsi a favore della parte, considerata a livello internazionale come quella lesa, senza tener conto delle (re)azioni compiute da essa in risposta al dolo subito.
In questa sede non possiamo certo addentrarci in questioni di politica internazionale, ma nel nostro piccolo possiamo osservarne gli effetti in ambito artistico e nello specifico teatrale, sottolineando come oltre al rispetto e alla necessità storica di giornate dedicate alla memoria della Shoah, risulta indispensabile mantenere quell’imparzialità critica per poter osservare il contemporaneo e le sue molteplici contraddizioni.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
visto a Teatro Vittoria, Roma
dal 21 gennaio al 2 febbraio 2014
IL BALCONE DI GOLDA
di William Gibson
traduzione Maria Rosaria Omaggio e Enrico Luttman
regia Maria Rosaria Omaggio
con Paola Gassman
musica Luis Bacalov
produzione Teatro Stabile d’Abruzzo