In un vecchio deposito abbandonato nel cuore di Forlì, dove un tempo stazionavano i mezzi di trasporto della linea pubblica romagnola, un bagliore sconvolgeva il buio monacale di una serata colta nel mezzo fra l’antico e il moderno di un rito, stretta tra fedeli e officianti, percorsa da un vento degli interstizi che ne spaginava le carte filosofiche, le geometrie teoriche, compitate perché si estinguessero in un istante appena, lì dove s’edifica l’ex voto dell’accadere. Un bagliore, appunto. Un’orma del passato richiamata, con l’illusione della potenza, all’atto del presente. Fu nel cortile interno, sul retro del Deposito ATR dove già nel 2011 il festival Ipercorpo aveva spostato la propria sede, l’immagine sacerdotale di Lorenzo Bazzocchi: strumenti per le mani, voce di un uomo accorto alle proprie azioni, come celebrando una modernità repressa, o dimenticata, si accingeva al tentativo di far “apparire” letteralmente la luce attraverso il processo dovuto al genio di Nikola Tesla, ingegnere serbo ideatore della rivoluzionaria invenzione dell’elettricità senza fili, prodotta grazie alla conduzione naturale dell’aria, rigorosamente fuori dalla famosa guerra dei brevetti per il sistema più noto, giunto tra i clamori fino alla nostra modernità. Attraverso rudimentali macchinari, Bazzocchi tentava la dimostrazione dell’istante, riuscendo nel paradosso di illuminare il bagliore, quindi il processo, proprio nel fallimento della durata, non necessaria. Ma ciò che più importa è il motivo, la linea invisibile che sottende l’azione: per le sue mani la pazza idea di Tesla diventava in teatro l’alternativa, una dichiarazione poetica di alterità e insieme dedizione all’arte dell’apparizione momentanea, ma da quel momento indelebile.
Masque Teatro, la compagnia di Bertinoro che Bazzocchi ha fondato nel 1992 assieme a Catia Gatelli, è di quelle formazioni artistiche “stanziali”, che non amano girare e non hanno proprio nel loro dna la vocazione istrionica della spettacolarizzazione. Il termine “spettacolo” nel loro lavoro ha a che vedere con la costanza della maturazione, si traduce con “azione”, con “opera”. È allora una rarità vederli fuori dal loro centro propulsore di Forlì, città dove da venti edizioni prende vita il festival Crisalide che non a caso nell’ultima aveva nome “L’immagine del pensiero”. Una rarità, certo, resa talvolta possibile da occasioni come Tropici, evento dedicato alla performance e immaginato da Michele Di Stefano (Mk) all’Angelo Mai di Roma, città invece impoverita proprio di questi spazi marginali dove già il tentativo sia fatto concreto.
Just intonation è la performance ideata da Bazzocchi e abitata da Eleonora Sedioli, dal 1998 stabilmente nella compagnia. Nel buio che lotta con la bassa luce artificiale di fuori il capannone, in un’atmosfera sonora di dichiarata matrice kafkiana, due figure contendono il centro scena a notevole distanza dagli spettatori. L’una umana, l’altra no, una donna e un pianoforte. Ma entrambe sono corpo animato, “corpo sonoro” sviluppato attraverso l’armonizzazione degli arti, del movimento, alla cadenza sinistra del pianoforte che, suonando da solo, impatta la scena con una partitura di bassi a dissotterrare l’armonia e sovrasta la vibrazione ipnotica su cui poggia il movimento umano. Il gusto geometrico della misura si affila con le luci sui muscoli in tensione, rinnovando l’incognita corporea nella figura nuda, calda della performer che sembra trasformarsi in una mano chiusa, a cambiare posizione secondo lo spostamento delle dita. È una rifrazione surrealista, pur sottile, che tradisce il letto da cui origina la figura e lo traduce strumento a corde, appaiando il dialogo sfuggente fra le coordinate musicali. È così che lo scheletro partecipa alla composizione figurale di ciò che è carne, che attorno e dentro di esso prende forma.
Corpo sonoro, dentro la sala teatrale. Eppure innegabilmente la pioggia vi partecipa, di fuori lo scroscio è tutt’altro che improvviso e affianca l’opera, non la distorce ma approfitta della qualità percettiva stimolata dalla performance, dalle esigenze del rito, così che le figure nascenti, scultoree, nella nettezza corporea conservino il rimando esteriore, la macchineria di fascinazione barocca che non abbandona il lavoro di questa compagnia.
Non vi è nulla di nostalgico in Masque, la loro azione è mossa proprio dall’alternativa, nelle istanze di creazione è la produzione non dell’icona – immagine di rimando quasi spettrale – ma del simulacro, immagine valida da sé stessa che dunque dal momento della sua comparsa esiste, pur nell’evanescenza dell’arte, anzi forse proprio in sua virtù, manifesta il rigore della presenza oltre i limiti del buio, proprio lì dove un innesco invisibile, per quell’istante fulmineo, sa portare la luce.
Simone Nebbia
Visto a Tropici, Angelo Mai, in novembre 2013
Roma
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JUST INTONATION
ideazione e regia Lorenzo Bazzocchi
con Eleonora Sedioli
physical computing, suono e luci Lorenzo Bazzocchi
elettronica Matteo Gatti
foto di scena Enrico Fedrigoli
coproduzione Mood Indigo
produzione Masque teatro