I giovani sono ingordi e pieni di vita. I loro sogni o i progetti, se si preferisce usare un linguaggio improntato alla concretezza, sono luminosi e istintivi, privi del ridimensionamento delle aspettative che segue le difficoltà incontrate nel corso di un’esperienza di vita più lunga. Ma le qualità dei sogni giovanili hanno un prezzo, perché spesso comportano un rischio: quello di trasformarsi impercettibilmente e inesorabilmente nel loro contrario, in incubi che non lasciano traccia della passione che avevano all’origine. Di questo genere di meccanismo racconta Kebab, testo della drammaturga romena Gianina Carbunariu, rappresentato in prima assoluta in Italia il 3 ottobre 2013 dalla compagnia ariaTeatro con la regia di Riccardo Bellandi al Teatro Comunale di Pergine, inaugurato da poche settimane sul territorio trentino.
Tre ragazzi romeni – Madalina, Voicu e Bogdan – abbandonano le luci, i buoni odori e le persone care della loro terra per realizzare i propri progetti in Irlanda, idealizzata come un luogo dove tutto è possibile e che invece risveglierà presto i loro istinti prevaricatori. Dopo due scene di antefatto in cui i giovani vengono presentati in una luce ancora ingenua e fresca, lo spettatore è catapultato dentro una spirale di crescente violenza e degrado che i personaggi non riescono ad arrestare, troppo presi come sono dalla volontà di auto-realizzazione. Ogni mezzo sembra loro lecito, persino quelli più umilianti (Madalina diventa persino prostituta e poi protagonista di un video hard pur di ottenere il denaro sufficiente a richiedere la cittadinanza irlandese), fino ad arrivare a contemplare l’omicidio quale mezzo risolutivo. Alla fine, infatti, Voicu e Bogdan uccideranno la ragazza per mantenere la rispettabilità che il secondo si è nel frattempo guadagnato, ottenendo un lavoro ben retribuito come artista visivo di talento.
Il lavoro di regia di Bellandi si occupa, riuscendoci, della creazione di contrasti che sottolineano il carattere ambiguo dei personaggi, al contempo vittime e complici del decadimento, così come sono autori di aspirazioni condivise prima e si trasformano in artefici segreti di un incubo poi. Si oppongono coloratissime immagini di esterni (l’autostrada, un cortiletto visto oltre una finestra, ecc.) disegnate da una mano infantile a interni che invece si rivelano nella maggior parte dei casi bui nel disordine di oggetti sparsi in giro e rappresentano scene visivamente crude – come quella in cui i ragazzi nudi mangiano sdraiati sul divano i panini di un fast-food. Al contrario, per quel gioco di opposizioni già menzionato, nel finale Bernardi proietta un filmato che mostra Madalina e Voicu al loro primo incontro, in evidente antitesi con l’omicidio a cui gli spettatori hanno poco prima assistito sulla scena. Anche gli attori sono al servizio di questa idea registica, alternando momenti di ingenuità e dolcezza giovanili ad altri in cui risalta una profonda aggressività.
I risultati migliori in questa direzione si avvertono, tuttavia, nella costruzione di due scene oniriche, ottenute con un mezzo molto semplice: una luce soffusa e violacea sommerge a poco a poco i ragazzi addormentati sul divano e li porta nel mondo di Cappuccetto Rosso, ma poiché si sono ormai abituati a un regime degradato e degradante, non riescono ad abbandonarsi al piacere delle visioni infantili e con una serie di azioni trasformano la favola in una situazione erotica e sanguinaria. Queste scene sembrano particolarmente importanti perché, da un lato sottolineano quanto Madalina, Voicu e Bogdan abbiano snaturato i propri progetti iniziali, dall’altro lasciano emergere l’inconscio dei protagonisti segnalando allo spettatore che l’innocenza è stata perduta del tutto e che la vicenda culminerà presto nell’omicidio della ragazza. Non è un caso infatti che da questo punto in poi comincino a emergere anche nella veglia alcune percezioni inquietanti e segnali di morte, come l’odore di kebab che emana dalle mani di Madalina e indica che la ragazza è ormai un cadavere putrefatto.
In una delle battute chiave dello spettacolo, Voicu dice a Bogdan che «essere è più difficile, il futuro è facile». Per coltivare un sogno non basta, infatti, proiettarsi in avanti e cercare i mezzi più efficaci per realizzarlo, occorre anche impegnarsi a viverlo senza ledere quelli altrui, per quanto possa apparire arduo. In caso contrario, pur nel conseguimento degli obbiettivi, a pagarne saranno state la luminosità e la freschezza che manifestava inizio.
Enrico Piergiacomi
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KEBAB
Di Gianina Carbunariu,
con Chiara Benedetti, Andreapietro Anselmi, Daniele Ronco regia Riccardo Bellandi
aiuto regia Giuseppe Amato
scene Lorenzo Rota
costumi Federica Rigon
musiche Mattia Balboni
video Giuseppe Zito.