Una scatola nera in mezzo alla centralissima e assolata piazza Piazza Castello, uno spazio scenico bianco latte modulabile all’interno della Venaria Reale, piccoli teatrini da ascoltare e vedere in piedi per un manovratore e uno spettatore alla volta: nelle due giornate trascorse a Teatro a Corte abbiamo trovato, tra le numerose e interessanti proposte, anche una linea estetica che conduce la performance fuori dai consueti margini della fruizione frontale tipica del teatro o della danza. D’altronde questa è anche la consuetudine per un festival nel quale l’utilizzo delle dimore sabaude è uno dei tratti distintivi, caratteristica capace di dare forma nuova e unica agli spettacoli in programma, che inevitabilmente divengono site specific. Su queste pagine abbiamo già raccontato di alcuni esempi virtuosi, nei quali tecnica, sfida ai linguaggi e contenuti si rincorrevano in un equilibrio funzionale a creare un ascolto tra diversi pubblici.
Ma quando l’ibridazione tra i generi e l’intreccio dei linguaggi con altre arti e forme espressive (o ludiche) non è sostenuta da un tema che sia necessità e fondamento della messa in opera, il rischio è quello di imbattersi in dispositivi che presto verranno dimenticati, incapaci di lasciare un segno profondo.
Nel caso di The Big Movement, a dire il vero, la fusione dei linguaggi è talmente densa da rendere difficile l’assimilazione a un codice preciso. Dries Verhoeven mescola le carte rendendo illeggibili non solo i pesi delle grammatiche, ma anche i ruoli di chi alla performance partecipa in veste di spettatore o interprete: la piccola platea dove gli spettatori vengono fatti accomodare, dopo aver percorso un piccolo tragitto in fila indiana e in silenzio (così volevano due delle regole imposte), è all’interno di una piccola sala cinematografica. Ci sediamo e poco dopo comincia la proiezione: mentre, tra voce off e sottotitoli, una narratrice cinese racconta la storia dell’uomo fino alla sua scomparsa – il testo tra scienza e confucianesimo non brilla per originalità –, sullo schermo scorre il quotidiano della piazza cittadina. Cittadini, turisti, apparizioni fugaci che inconsapevolmente si prestano al “gioco”; sono loro i performer di questo cine-teatro capace di far arrovellare lo studioso e di strizzare l’occhio al mondo immediato degli spot pubblicitari e dei teaser trailer.
Ma la messa in discussione della rappresentazione è uno dei motori principali anche dell’opera dell’olandese Boukje Schweigman, realizzata in collaborazione con l’artista e fashion designer Cocky Eek. Bolla rimane a metà strada tra progetto installativo, performance e land-art, captando anche aspettative quasi da luna park. Nella prima parte la visione è frontale e, nel bianco di una delle sale della Venaria Reale, assistiamo alla nascita di una massa informe, anch’essa di un bianco abbacinante, che si gonfia prendendo forma lentamente, si muove verso gli spettatori – alcuni più divertiti altri già sfiniti dal lunghissimo prologo –; nelle fasi successive il bianco essere animato cerca l’interazione col pubblico, cattura alcuni spettatori, si unisce a un suo simile mastodontico, fino a occupare gran parte della sala e svelare la presenza umana che da dentro la pancia del mostro chiede agli spettatori rimanenti di entrare. Si forma una coda che spezza la magia di chi impegnava il proprio spirito in una seduta mistica e, dopo qualche minuto di risatine, tutti dentro, in questa nuvola: siamo seduti, la performer, il cui vestito sembra essere quello di una majorette venuta dallo spazio, non ci dà altre indicazioni. Dopo tentativi poco riusciti di contemplazione – collettivamente e con molte persone è difficile raccogliersi in tali pratiche – ci mettiamo in cammino verso una sorta di budello. Siamo fuori (rinati?) e il parco della Venaria Reale ci accoglie con un tramonto da cartolina, unico vero momento di poesia in un lavoro che probabilmente deve ancora trovare certi equilibri e urgenze per non apparire solamente come un grande gioco.
Una riflessione molto simile può essere intercettata nell’esperienza fatta con La voce delle cose, artigiani di un microteatro d’oggetti fatto per (e dallo) spettatore con pochissimi elementi. In Macchina per il teatro incosciente due artisti (Luì Angelini e Paola Serafini) hanno posizionato piccoli boccascena che occupano lo spazio di una valigetta, romantica visione dell’artista vagabondo, in vari punti del festival; prima di andare ad ammirare il grande artista di turno si passava dunque davanti a quei teatri in miniatura che aspettavano un “manovratore” e uno “spettatore”. Entrambi in cuffia, al primo venivano impartite le istruzioni grezze su come muovere semplici oggetti di meccanica (viti, bulloni e altra ferramenta), il secondo ascoltava l’estratto di una favola. Se non fosse per la curiosità del manovratore di venire a conoscenza di quale storia avesse raccontato non parleremmo neanche di quel minimo interesse ludico che sta alla base dell’esperienza, che anche qui sembra voler affondare poco nei contenuti e nella messa in crisi del pubblico/autore.
Andrea Pocosgnich
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The Big Movement
un progetto di concept, text Dries Verhoeven / drammaturgia dramaturgy Nienke Scholts, Paulien Geerlings / sviluppo tecnico technical development Sylvain Vriens, Karl Klomp
con il sostegno di supported by Performing Arts Fund NL, Dutch Performing Arts, Netherlands Embassy in Rome and Consulate General in Milan, Treaty of Utrecht Foundation, Gemeente Utrecht, Città di Torino, in collaborazione con in collaboration with Oerol Festival
Bolla
ideazione concept Boukje Schweigman / in collaborazione con in collaboration with Cocky Eek, Ibelisse Guardia Ferragutti / regia directed by Boukje Schweigman / design Eek Cocky / con with Ibelisse Guardia Ferragutti, Felix Schellekens, Jochem Rijsingen, Alondra Castellanos / musiche music Jochem van Tol tecnica technical Jurr van Diggele / lighting design Hugo Hendrickx sound design Gjalt Vlam / consulenza artistica artistic advice Theun Mosk / costumi costumes Miek Uittenhout / produzione production Yoni Vermeire / assistente alla regia director assistant Ellen Schuring / assistente di progettazione project assistant Esmee Thomassen / immagine image Jona Rotting / fotografia photo Arjan Benning / un ringraziamento a thanks to Kondor Wessels Progetti, Hannah Shanks, Rosa Radsma
con il sostegno di supported by Performing Arts Fund NL, Dutch Performing Arts, Netherlands Embassy in Rome and Consulate General in Milan, Treaty of Utrecht Foundation, Gemeente Utrecht, Città di Torino, Het HUIS Utrecht in collaborazione con in collaboration with Oerol Festival
Macchina per il teatro incosciente
di by Luì Angelini, Paola Serafini
produzione production Fondazione Teatro Piemonte Europa