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Tu, eri me: com’è fatta la vecchiaia di un artista?

foto di Monica Gazzo
foto di Monica Gazzo

Certi luoghi diventano un simbolo, imponenti per la loro struttura o la loro storia finiscono per rappresentare il territorio attorno. Il Castello Pasquini di Castiglioncello, immerso nel silenzioso ombreggiare dei pini dilavati fino al crocicchio dell’Aurelia che è piazza e centro dei piccoli commerci, è meta per teatranti di tutta Italia e punto di snodo per tutti gli altri, tra la collina di Rosignano Marittimo e la discesa verso il mare. Quale posto migliore, dunque, per ospitare la presentazione del progetto Foresta Bianca che raccoglie fotografie di questa popolazione lungo il Novecento? Nelle sale del Castello acquista un senso duplice, come se fosse l’appuntamento di più generazioni in un luogo che l’immagine di immagini ricompone e si fa storia. Dall’individuale al collettivo, è alla memoria che spetta, anche quest’anno come il precedente, di attraversare le epoche da riafferrare o precorrere, da rivitalizzare con i propri ricordi ereditari. Nelle foto di vita accessibile che si andava facendo, nei piccoli frammenti del ricordo scritto di fianco, c’è l’imprevista fluidità dei passaggi di stato, di epoche, di mondo.

Questo, nelle sale interne della mostra curata da Matteo Balduzzi e Stefano Laffi da rivedere nel catalogo Di mare di amore di fabbrica (edizioni Quodlibet) e che andrà avanti per tutto il periodo festivaliero di Inequilibrio 2013, fino al 7 luglio. Ma quando si entra in teatro per Tu, eri me la sensazione non cambia e, anzi, si dilata di nuove e vibranti suggestioni. Il progetto è di tre artisti che hanno deciso di unirsi nella così definita “Compagnia di complesso” per attraversare quelle nicchie di umanità dispersa che sono le Case di Riposo per Artisti, tre in tutta Italia (Milano, Scandicci e Bologna) e di cui facilmente – io credo – si ignora esistenza. David Batignani, Simone Faloppa e Paola Tintinelli ne hanno cavato un racconto attraverso la vicenda di Lilla che un tempo era una diva, o qualcosa del genere, o comunque così crede ora che la memoria le riconsegna l’attiva consapevolezza di essere, essere ancora.

foto di Monica Gazzo
foto di Monica Gazzo

Nella luce raccolta di una vita ormai minuta, lumini di un clamore quasi spento che provengono dal basso, una duplice parete richiama la vista di un attore: pannelli fissi e pannelli mobili compongono la stessa immagine di platea e galleria, ossia il mondo intero, per chi vive tutta l’esistenza sulle assi del palcoscenico. Il dipinto di Ambra Rinaldo (su tela con inserti di carta, molto probabilmente con la tecnica decoupage) ha la dilatazione della memoria, illanguidita in un quasi acquarello che dei colori sbiadisce ogni nettezza. Esso non è scenografia, è scena concreta di vite perdute altrove, una sorta di ambiente attuale che suppone un precedente, un po’ quello che doveva essere l’ambiente “balena” per l’uomo Geppetto nel Pinocchio di Collodi. Com’è fatta la vecchiaia di un artista? Una vita «regalata all’intrattenimento», trascorsa a compiere passaggi in altre figure, sembra suggerire un rapporto sfocato con la propria, con tutto ciò che resta oltre le immagini di glorie scolorite.

I tre attori mostrano una storia di cui hanno profondo rispetto e che trattano con raffinata sensibilità, si vede dai movimenti e dall’espressione che ad essa sanno offrire. Hanno tra di loro un meccanismo di relazione che richiama le “comic strips”, figure stilizzate da fumetto (perfetta quella esile di Batignani, quasi un velo, ma notevoli anche il remissivo Faloppa e la diva graffiata dal tempo Tintinelli) come un ricalco di figure ridimensionate, rinsecchite dall’annientamento che la vecchiaia riserva loro. La cura degli oggetti e delle suggestioni (rilevanti le scelte musicali e il tappeto sonoro firmato Circolo Alekseev) ha una forza evocativa che manifesta l’epoca andata in quella attuale, così da fornire al lascito temporale gli elementi in cui far cadere i personaggi: le biografie, nel retro della loro rappresentazione; ogni volta che sentono nell’ospizio la voglia di mettere in scena qualcosa come una necessità irrefrenabile, è la biografia che li sconfigge, che si è fatta più grande dell’arte che possono sviluppare. L’uomo, in emergenza, si fa più grande della propria figura.

Quando Lilla esce dalle scene, quella fissa della vita e quella mobile della sua rappresentazione, lo fa entrando nella platea, passa il confine di schiena al palco dove ha – letteralmente – esercitato la vita. Luogo sacro, ormai. Quando gli attori escono a prendere gli applausi lo fanno di lato, in uno spazio in fuori dalla scena appena calcata, come dire: lì ci torneremo, ci torneremo sempre, ma sempre chiaro resti quali sono i confini, perché in fondo a tutto si avverta con precisione assoluta dove siamo stati fino a ora e quale il passo, quale la cadenza, per salire su un altro palcoscenico.

Simone Nebbia

Visto a Inequilibrio 2013 al Castello Pasquini di Castiglioncello (LI)

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Batignani/Faloppa/Tintinelli
TU, ERI ME.
cinque tempi, col doppio argomento

di David Batignani e Simone Faloppa
con David Batignani, Simone Faloppa, Paola Tintinelli
scena dipinta e marionetta Ambra Rinaldo
pavimento, luminarie e teche Mario e David Batignani, Paolo Bruni
vestiario e ambienti sonori Circolo Alekseev
voce di Donata Giulia Viana
foto posate Nelly Ramirez Bartolo
organizzazione Romeo Tirabassi
un progetto per Casa di Riposo per Musicisti Fondazione Giuseppe Verdi (Milano), Casa Lyda Borelli per Artisti e Operatori dello Spettacolo (Bologna)
produzione David Batignani e Simone Faloppa
in coproduzione con Teatri in via d’estinzione/Festival Marosi di Mutezza di Sassari, Armunia/Festival Inequilibrio
con il sostegno di Molino del Groppo/Festival riGENERAzioni, Kilowatt Festival di Sansepolcro (AR)

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