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Ad bestias, omaggio a Plauto per adottare il Teatro Verdi

foto di Daniela Neri

Teatro Verdi, Poggibonsi. Un anno dopo. Nell’Italia delle attese che rimandano le decisioni a futuri e sempre meno probabili esecutori, non ci si stupisce di trovare questo teatro che stava e sta chiudendo ancora lì tra i due tempi dello stesso verbo. Da un anno l’Associazione Culturale Timbre, dopo 16 anni di gestione, oltre a pagare le utenze ha iniziato un percorso per sostenere le spese di affitto del teatro, pena la chiusura e la repentina cancellazione dal panorama già periferico della provincia senese. Pertanto, di fianco alla programmazione e in virtù di essa, è partita una raccolta fondi pubblica attraverso la campagna “Adotta il Teatro Verdi”, sostegno alla cultura, sostegno della cittadinanza – secondo un’affermazione che pare una forzatura ma non lo è – a sé stessa. Curioso come l’emergenza rinnovi certe vitalità, come lo stato d’assedio alla sopravvivenza permetta di rilanciare e farsi spazio là dove si tenta una barriera: resistenza della cultura contro una resistenza alla cultura. Si andrà avanti fino a maggio, poi si vedrà.
L’occasione che una volta ancora ci spinge fino alla cittadina dell’alta Val d’Elsa è uno spettacolo di una compagnia che lavora nel territorio senese – più precisamente nella città di Siena – da molti anni: è LaLut che si spinge fino alla commedia plautina per farle l’omaggio di questo Ad bestias.

Già dal titolo si fa chiara un’intenzione: là dove il presente ha desertificato la naturalità dei rapporti e dei territori, la condanna “ad bestias” (ad andare alle bestie o a diventare bestie) si fa quasi dedica, buona promessa, rendendo con particolare evidenza il desiderio che se ne recuperi il proposito e si sviluppi secondo un’altra linea la storia tradita dell’umanità. Ecco allora che attorno a una caverna-covo fatta di tubi bianchi intrecciati prende corpo l’idea di una preistoria di ritorno: una capanna di vimini futuribile (la scena è di Luca Baldini) è insieme post-storia e pre-storia, e quindi la storia di ogni tempo. Un cappello iniziale, una captatio benevolentiae abbastanza improbabile dell’attore e regista Francesco Pennacchia, fatta di scenette e battute volutamente sghembe, apre una scena interamente svolta fuori dalla capanna, in cui un vecchio e laido padre compete con la figlia l’amore per la bellissima Elèna. Nella vicenda entrano poi altri personaggi che spingono i due al duello attraverso una riffa truccata abilmente dal padre e dai suoi compari, perché ottenga la fanciulla e vada a perpetuare due precisi lasciti dell’evoluzione, o almeno due distorsioni umane della stessa: il primato del maschio sulla femmina (anche se quest’ultima in una inequivocabile versione androgina) e insieme il trionfo della normalità sulla stravaganza di un amore apparentemente “non naturale”. Come nella migliore tradizione del comico, la tenzone finisce per non avere vincitori e l’intrigo amoroso si scioglie in una ridicolizzazione della stessa vicenda e il ritorno a considerare sé stessi all’interno di una condizione appunto bestiale, una volta che i personaggi denunceranno la propria debolezza e che tutta la sofisticazione sarà svelata.

foto di Daniela Neri

Due sono i punti cruciali della messa in scena: in primo luogo i costumi di Marco Caboni che acutizzano il cortocircuito temporale fino a poter definire un immaginario psichedelico cyber-plautino, ma forse il carattere più forte è determinato dall’estremizzazione linguistica regredita a stati onomatopeici del linguaggio che rimandano a certe esperienze parodistiche di Mel Brooks o, più sofisticate, dei Monty Python. Ne nasce un lavoro errante e divertente, abilmente segnato dalla prova attoriale su tutti di Angelo Romagnoli meschino servitore e Sergio Licatalosi il laido padre, ma che non riesce a risolversi definitivamente a causa di una preponderanza della scena che diventa presto un oggetto ingombrante e anche per una debolezza di carattere drammaturgico che non porta a fondo il carattere esemplare, esautorando la pièce di quello spirito sferzante in grado di guidare l’intero arco parabolico. Ma se ne apprezza la prova coraggiosa di portare sui palcoscenici nostrani uno spettacolo inusuale, che con qualche accorgimento diventerà di certo più efficace.

Luca Losi di questo teatro e dell’associazione è un po’ il motore, lungo quest’anno ci siamo scritti, con molta e gradita discrezione mi ha dato aggiornamenti sulla vicenda. A fine serata mi dice di attendere, di non andare via; poco dopo mi regala una bottiglia di vino rosso con un’etichetta particolare, c’è scritto: “Adotta il Teatro Verdi – sostieni la cultura”. Mi dice «lo fa un’azienda di queste parti, ognuno dà un po’ il suo contributo», mentre ne vende alcune bottiglie in cambio della sottoscrizione. Penso che di fronte a un bicchiere di vino si formano e si avvicinano le comunità, di fronte alle offerte artistiche si evolvono e si misurano le relazioni dei suoi componenti. Luca continua ad aprire il teatro e a me non resta, dall’altra parte, che aprire la bottiglia. Al Teatro Verdi che cerca di restare in piedi, il nostro – non virtuale – bicchiere alzato.

Simone Nebbia

Visto al Teatro Verdi di Poggibonsi in marzo 2013

AD BESTIAS
ispirato alle commedie di Plauto
con Silvia Franco, Sergio Licatalosi, Lorenzo Mori, Francesco Pennacchia, Angelo Romagnoli
regia Francesco Pennacchia
scenografia Luca Baldini
costumi Marco Caboni
foto Alessandro Pagni
produzione LaLut
sostegno Regione Toscana
collaborazione Timbre Teatro Verdi

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