La prima volta che dovevo vedere Libera nos, questo spettacolo che racconta il paese di Luigi Meneghello – autore veneto di Libera nos a malo, in cui Malo, il paese entrava di diritto nella richiesta di benedizione dell’omelia – era il 2006, ma un temporale devastante non permise di andare in scena, nell’allora Festival Bella Ciao in cui mi trovavo ad aiutare il suo direttore artistico, Ascanio Celestini. Ascanio lo scelse, mi disse, per la sua sottile vena di microstoria, per quell’amore del piccolo che dice cose grandi. A me quella sera venne da ridere, perché avevo letto il libro che inizia così: “S’incomincia con un temporale”, e mi sembrava quanto mai azzeccato. Anche questa volta di acqua ne ha tirata giù a secchi, ma s’erano organizzati meglio e avevano previsto il teatro Valle, a coprire dalla pioggia. Così un volta dentro ho creduto di assistere a questo spettacolo vecchio di vent’anni, scritto assieme da Gabriele Vacis – anche regista – Marco Paolini – che ne era interprete – e Antonia Spaliviero. Invece mi sono trovato il regista nel mezzo della scena, che mi diceva avrei assistito a un omaggio, per i vent’anni, avrebbero raccontato la struttura dello spettacolo, la sua genesi, il suo legame con Meneghello da poco scomparso. Con lui i due attori che l’hanno reso grande, in questi ultimi anni: Mirko Artuso e Natalino Balasso. Ecco, ho pensato, neanche questa volta lo vedo. Fosse che questa pioggia è penetrata pure dentro al Valle?
Vacis in scena l’avevo già visto, con Baricco a fare Totem. Lo stesso “mago” di luci e musica di allora, Roberto Tarasco, la stessa posizione raccolta e la voce “totemizzata”, bariccheggiante il desiderio di infilarsi tra le righe della pagina scritta e tirarne fuori un significato per tutti. Mi piaceva Totem, non come evento di teatro, ci mancherebbe, teatro non era, ma per l’amore alle cose, ai nomi che le cose si portano. La sua regia è del resto impossibile da vedere, dato il carattere della serata, ma il suo stile è talmente inconfondibile che anche da piccole cose si può trarre una conclusione. La coesione col testo lo rende uno dei più adatti ad agire sulla narrazione, il lavoro sulla lingua, sulla caratterizzazione, per quanto ormai non proprio sorprendente ne segna i tratti distintivi con una certa potenza. Artuso e Balasso una coppia classica, il lungo un po’ tocco e il bassetto furbo, ma creano un tessuto di strade, colline, case, coltivi, osterie, tale che manca soltanto il cartello con scritto “Benvenuti a Malo”.
Lo spettacolo corre via facilmente, la spontanea simpatia che generano sulla scena è tutta a loro favore. Meneghello un autore da ritrovare, la sua Malo un esempio di come sarebbe andata se questo paese avesse scelto di evolvere più naturalmente di così. Meneghello come Rigoni Stern, come Zanzotto, come il cinema di Olmi, di Mazzacurati, come tanti altri, da una terra come questa un tratto comune e decisamente naturale.
In ultimo una considerazione che vorrei iniziare a portare in luce: leggere questo testo, sentirlo pronunciare, riporta con esauriente rimando agli Album di Marco Paolini, che hanno fatto la sua attuale fortuna e che raccontano la sua infanzia trevigiana. Capisco che tutto, alla lunga, diventa uno stereotipo, ma chi è causa e chi effetto? Meneghello, Paolini, Vacis, il Veneto…attendo cortese riscontro, e mi prometto uno studio approfondito del fenomeno. Intanto qui fa acqua da tutte le parti, attorno al Valle, per fortuna che lo spettacolo è solido, accogliente e soprattutto impermeabile.
Simone Nebbia
visto il 4 novembre 2009
Teatro Valle [vai al programma 2009/2010 del Teatro Valle]
Roma
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