In questi mesi romani il teatro per le giovani generazioni sembra interessato da qualche luce più decisa – vedi anche la programmazione Piccoli Indiani, istituita in corsa per il mese di marzo all’India che dovrebbe essere in restauro. Quella secondo cui un buono spettacolo di teatro ragazzi è adatto anche agli adulti è un’equazione non reversibile di cui è risultato ulteriore questo Il vecchio e il mare realizzato dalla compagnia La luna nel letto, al Piccolo Eliseo per Puglia in Scena a Roma, in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese. Un vivace, sognante e umile adattamento dall’omonimo romanzo breve di Ernest Hemingway: l racconto di mare del vecchio pescatore Santiago, impegnato nella lotta con un branco di squali che divoreranno fino alla lisca la sua tanto sofferta pesca miracolosa – un pescespada gigante – rappresenta forse una delle ultime scintille di amore per la vita accese dal grande scrittore americano, che lo firma nel 1951, dieci anni prima di piantarsi in bocca un colpo di fucile.
In una lettera spedita nel 1939 dalla sua amata Cuba, Hemingway stesso racconta di aver ascoltato dai marinai sulla spiaggia la vicenda di Santiago ed esprime il desiderio di scriverci su una storia; proprio stralci di quella lettera compongono l’incipit dello spettacolo, mescolando frasi inglesi e italiane lette da una voce off ancora prima che le luci di sala si spengano. Quel forte accento americano che alterna l’uso delle due lingue – e che in un primo momento ci fa un po’ contrarre – impareremo ad accettarlo e ad apprezzarlo quando, di lì a poco, capiremo che lo stesso Hemingway, ritratto dall’attore statunitense Robert McNeer, troverà un posto sul palco. Questa intromissione all’apparenza prepotente, che rischia di far piombare l’intero spettacolo in mano alla gestione di una macchietta (il bravo McNeer è davvero credibile truccato e abbigliato come il famoso premio Nobel), diventa invece la chiave di volta per un esperimento coraggioso intorno alla narrazione di un immaginario e all’avvicinamento di un pubblico di tutte le età a quel che è forse il più letterario e astratto dei romanzi di Hemingway.
L’impianto scenico svolge senza dubbio un ruolo cruciale. Su una pedana di legno posta in ripido piano inclinato, come una barca perennemente sul punto di rovesciarsi si muove Manolin, anima ancora acerba che sogna la vita di mare e che con Santiago ha un rapporto speciale; più in alto e più in profondità si apre il piano scenico e narrativo dedicato al vecchio, sul quale la visuale è a volte inframezzata da un sipario di frange su cui fari ambra fanno brillare una luce d’alba, quelli azzurri creano l’ondeggiare del largo. A unire la pedana al piano oltre il fondale è un sistema di cime di corda e carrucole, evidente segno scenografico che fa rivivere l’ambientazione marinara e pure elemento fisico che mette alla prova gli attori, facendoli sudare e arrossando la pelle nuda del torso, quando si tratta di simulare la presa all’amo del marlin. E quando il duello tra Santiago e il pesce viene messo in scena con il vecchio e Hemingway che tirano – da piano a piano – gli estremi della fune, irrompe una lettura complessa che ci sprofonda nel processo stesso dello scrivere e che perdona anche la deriva un po’ didascalica, lascito di un teatro rivolto anche ai più piccoli.
La dispersione di tutte le energie di fronte a una legge naturale che ha sempre la meglio avevano di fatto spinto Hemingway a tramutare un racconto ascoltato alla locanda in una fulminante metafora della società. Gli anni di questa elaborazione furono quelli della Seconda Guerra Mondiale e dell’inizio della Guerra Fredda.
Nello spettacolo di Campanale l’esplosione di artigianalità della scena e la grande fisicità creano una lettura davvero sottile, lasciando (com’era un po’ nel Moby Dick di Rockwell Kent delle Apparizioni) il governo delle vele all’immaginazione, il suggerimento offerto agli occhi perché si figurino il resto: allora un tronco di legno sarà l’arpione e quell’arpione, ondeggiando, sarà il pescespada; vedremo l’attacco degli squali in un forsennato sbattere di stracci sulla pedana che ormai, per noi tutti, è barca, spiaggia, molo e luogo dell’anima. Una cartolina emotiva che, culminando con la materializzazione di una Betty Boop, sogno erotico di Manolin che balla in bianco e nero sulle note di Qui sas, ci lascia in dono un moto di tiepida commozione. E stanotte «sogneremo i leoni».
Sergio Lo Gatto
Visto al Teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi in febbraio 2013
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IL VECCHIO E IL MARE
tratto da Il vecchio e il mare di E. Hemingway
drammaturgia di Katia Scarimbolo
con Bruno Soriato, Robert McNeer, Salvatore Marci
regia, scene e luci di Michelangelo Campanale
produzione Associazione Tra il Dire e il Fare – Compagnia La Luna nel Letto
In coproduzione con il Festival Internazionale Castel dei Mondi di Andria e con la Compagnia La Luna nel Pozzo