È stato un febbraio freddo. A Roma poi ci sono queste zone lungo il fiume Tevere che la sera si rapprendono in un’umidità fitta e penetrante, sulla pelle, nei pensieri. Come nel deserto, se possiamo immaginare il deserto come un incrocio fra un muto villaggio residenziale e un cavalcavia, se ne sta questa cattedrale in voto all’ascolto, alle arti, alla creatività: l’Auditorium Parco della Musica è come l’ultimo anello di una catena che tiene nella stessa maglia il vecchio Palazzetto dello Sport e il vecchio Stadio Flaminio, dove l’ascolto roboante lascia spazio alla morbidezza, il clamore al suono che fa il silenzio. Febbraio è stato freddo ma proprio questo ambiente ha saputo accogliere al caldo i muscoli e le brevi contrazioni della danza contemporanea per il Festival Equilibrio, in chiusura con la compagnia belga di teatro-danza Peeping Tom di Gabriela Carrizo e Franck Chartier e la sospensione del loro A louer.
La prima differenza si avverte arrivando: manca ancora qualche minuto e gli steward in divisa già lungo la strada invitano a fare in fretta per raggiungere le sale, o almeno la biglietteria. Sì, là dove si avverte la seconda differenza rispetto ai soliti giri: di questi tempi venticinque euro a biglietto non sono proprio pochi. In Sala Petrassi, tra tutte la migliore per il teatro, la platea a scendere verso il palco è composta in maniera eterogenea, diremmo quasi variopinta: agli attesi professionisti in giacca appena usciti dagli uffici nei quartieri adiacenti questa volta si mescolano spettatori giovani, di certo diversi per abiti e per acconciature che i primi avranno a definire stravaganti. Un segno allora senza equivoci, prima che lo spettacolo cominci, è di certo una trasversalità gaudente che altrove è così difficile rintracciare. Curioso pensarci in questi giorni in cui si intrecciano visioni tanto diverse dell’organizzazione della società, nei territori della politica, curioso perché stando al teatro, alle arti, certa condivisione – che si dovrà chiamare, in un modo o nell’altro, convivenza – ha già preso corpo.
Un elegante interno borghese è orlato di tende rosse, come un sipario esteso per tutte quelle pareti che non dovrebbero contemplarlo. Tranne la sola a lui dedicata. Divano, poltrone, lampade e pianoforte sono gli elementi di un grande salotto, ma poi le pareti intessute si aprono su scalinate e aperture a scoprire il resto di una casa che si rivela immaginifica, impossibile. Siamo in una costruzione scenica che sembra mediare l’architettura suggestiva di Escher (determinante il pavimento a scacchiera) con le atmosfere sospese del cineasta David Lynch, intrecciandole in un punto di incontro che è la relazione umana. Le azioni, i movimenti, le intenzioni tutte dei sedici in scena si articolano seguendo una partitura elettrizzata e bizzarra, modulando sulla scacchiera un filo diseguale del dialogo che tiene assieme, alla maniera che ricorda certe mutazioni rapsodiche di Bartók o prima ancora di Liszt, il ritmo e le variazioni della musica. Tempo e spazio, dunque, non sono assenti ma sono riarticolati in un diverso disegno che li ridiscute proprio all’interno delle relazioni. L’atmosfera onirica, allucinatoria ha dunque il dominio della messa in scena e realizza concretamente certe bizzarrie della fantasia con le parti acrobatiche, non molte, ma abbastanza a definire una linea di confine con cui l’umorismo dell’azione spezza e contraddice il dramma borghese. Ma questo non esclude un dramma ulteriore, di ben più complessa portata, sviluppato proprio su quella linea liminare in bilico fra il dramma e l’umorismo, cioè la sua nemesi. Così come già in sé una tal forte impressione della proprietà gentilizia rivela nel titolo la sua contraddizione: a louer, in affitto. L’abilità acrobatica è allora amplificazione del grottesco per lo sguardo irridente degli altri, è l’ombra, l’apparizione del giudizio.
Uno spettacolo vitale, dunque, di particolare impatto visivo ed estetico che stimola in quell’eleganza le prospettive di una discutibile fragilità; a non essere però indagata pienamente è una potenzialità significante che miri a sviluppare un’unità drammaturgica in grado di rendere uniforme e fluida la splendida composizione di immagini. Ma il pubblico, rumoroso e impressionato, non sembra notare la difformità drammaturgica e anzi tributa una lunga e calorosa approvazione, cedendo alla sensibilità appassionata con la stessa sorprendente trasversalità dell’ingresso, condividendo il condivisibile e non curandosi degli eventuali disaccordi. Difficile che non si generi una domanda: volendo ricostruire una società su nuovi schemi (e non in assenza di schemi, non si ceda a illusioni irreali e dispettose), lo si dovrà fare sulla scomoda dialettica o sul brivido del plebiscito?
Simone Nebbia
Visto al Festival Equilibrio – Auditorium Parco della Musica di Roma in febbraio 2013
A LOUER
Ideazione e direzione Gabriela Carrizo, Franck Chartier
Danza e creazione Jos Baker, Eurudike De Beul, Leo De Beul, Marie Gyselbrecht, Hun-Mok Jung, Seol-Jin Kim, Simon Versnel
Assistente alla direzione Diane Fourdrignier
Costumi Diane Fourdrignier and HyoJung Jang
Luci Ralf Nonn
Sound design Raphaëlle Latini, Juan Carlos Tolosa, Eurudike De Beul & Yannick Willox
Scenografia Peeping Tom, Amber Vandenhoeck and Frederik Liekens
Costruzioni sceniche KVS-atelier
Direttore tecnico Filip Timmerman
Tecnici Marjolein Demey, Joëlle Reyns, Hjorvar Rognvaldsson, Wout Rous & Amber Vandenhoeck
Produzione Peeping Tom & KVS
Coproduzione Théâtre de l’Archipel Perpignan, El Canal Centre d’Arts Enscèniques Salt/Girona, Cankarjev Dom Ljubljana, La Filature Mulhouse, Le Rive Gauche Saint- Etienne-du-Rouvray, Guimarães European Cultural Capital 2012, Hellerau European Center for the Arts Dresden, Festival International Madrid en Danza 2012, Festival de Marseille 2012.
Sales Frans Brood Productions