Sonata per ragazza sola, andato in scena alla Casa delle Culture, è l’omaggio che la compagnia Inbalia rende a Irène Némirovsky, basato su alcune vicende di carattere biografico e su due suoi lavori: Il ballo e Jezebel. Nell’evocazione di una Parigi anni ’20 Francesco Villano costruisce un mondo concreto di situazioni, storie, divagazioni e aspettative. Fulcro della scena, volutamente essenziale, è un emblematico manichino con un bel vestito a festa, attorno al quale si dispiegano i pomeriggi di una ragazzina e di sua madre nell’attesa del ballo al quale entrambe desiderano ardentemente partecipare.
Una profonda musicalità invade la scena. Ma non si tratta tanto della presenza di una tastiera di cartone su cui si troverà costretta a suonare, come ogni giorno, Antoinette, bambina non più tale che parla del mondo e dell’amore pur non avendone ancora esperienza; né l’imperativo «musica!», invito alle danze organizzate da Fanny per sancire la propria posizione nella società alla quale vorrebbe suo malgrado appartenere; né chiaramente di tutto il comparto musicale che da Schubert al charleston accompagna la messinscena.
Questa musicalità presente per tutta l’ora di spettacolo, durante il quale Federica Bern qui unica attrice in scena scivola brillantemente dal personaggio della figlia al personaggio della madre, è espressa proprio nei passaggi attoriali: nella ritmicità delle parole, a cui sa dare corpo con evidente tecnica e complessità di sfumature, fresca e ironica nel ruolo di figlia, esagitata e imperativa in quello di madre; nelle azioni tutte accuratamente studiate, che come una mappa riescono a rendere reale un’ambientazione immaginaria; nell’orchestrazione di una trama che semina indizi quasi distrattamente, lasciando la sorpresa di un finale che sapevamo già, ma al quale non avevamo dato peso. Il tutto perché gli oggetti assumono notevoli forme: se le perle sono l’odiato amato emblema materno, prese in un morso quasi carnale, fungendo da abito (abito prigione?) e persino da cornetta telefonica, allora un manichino potrebbe essere qualsiasi cosa, perfino una cassetta delle lettere in cui inserire gli inviti per la soirée. Si pensa all’inizio, alla festa da ballo, mentre invece il teatro ci porta alla verità delle cose tramite lo svelamento del suo gioco: quel manichino su cui era poggiato l’abito a festa che ha innescato i giochi, le paure e soprattutto i desideri delle due protagoniste si rivela per quel che è. L’abito non viene mai indossato, la soirée non ha mai inizio, gli inviti stanno ancora là. La silenziosa vendetta è compiuta. Eppure Sonata per ragazza sola non è solo il conflitto generazionale tra madre e figlia. Ognuna sente l’altra come ostacolo al raggiungimento del proprio obiettivo ma, come facce di una stessa medaglia, Fanny e Antoinette si somigliano notevolmente nel bisogno di scoprire e di sentirsi parte del mondo, entrambe sono mosse da desideri irrealizzati, mettendo in nuce però ciascuna la propria visione. Mentre l’una, pur ossessionata dalla loro presenza al ballo della sera, racconta dei componenti dell’alta società svelandone peccati e bassezze, l’altra parla di un mondo letterario, delle morti delle proprie eroine tragiche in un gioco che diventa danza, camminando per una città quasi deserta, dove si scorge solo qualche amante i cui baci sono da deridere – al più da invidiare – o un ponte dal quale immaginare di gettarsi, sempre ipotizzandolo come modo per far parlar di sé, di esser messa a parte del mondo degli adulti. Per entrambe è una gara contro il tempo, che fugge e che ancora non arriva, l’unica cosa che non sanno o non possono fare è attendere. Ma è attraverso questa tensione, questo filo teso che percorre tutta la parabola che seguiamo lo spettacolo apprezzando la leggiadria dei tre movimenti di questa sfida. L’unico elemento che sembra stridere nel complesso è un’intenzione straniante esposta nei fogli di sala più che nella messinscena. Questa favola nera di una ragazzina che gioca coi desideri di due donne appare evidente nel gioco teatrale dell’attrice che interpreta i due ruoli, ma la convenzione è ampiamente visibile già nella sua immersione in entrambe e non ha bisogno di giustificazioni, rivelando anzi la sua singola presenza come elemento pregnante dell’evoluzione drammaturgica. Allora la ragazza sola del titolo potrebbe esser Antoinette che suona effettivamente il piano e grazie ad esso sogna del Bois de Boulogne, di certo si manifesta lo spirito di entrambe che lotta per la propria unica presenza in scena.
Viviana Raciti
in scena dal 24 gennaio al 3 febbraio 2013
presso la Casa delle Culture
SONATA PER RAGAZZA SOLA
omaggio a Irène Némirovsky
progetto di Federica Bern e Francesco Villano
con Federica Bern
Scene Fiammetta Mandich
Costumi Rachele Bartoli
Luci Fulvio Melli
Grafica MP5
Organizzazione Debora Meggiolaro
Regia Francesco Villano