Ma al di là di ogni differenza culturale, cosa accomuna le donne presenti alla conferenza di Stoccolma sul piano umano, artistico e professionale? Senza dubbio i desideri e le aspirazioni, che non sono poi così dissimili da quelli dei colleghi maschi. In tutto il mondo, le drammaturghe vogliono avere tempo per scrivere, vogliono che i loro testi vengano rappresentati, visti e apprezzati dal pubblico. Vogliono essere retribuite per il loro lavoro. Vogliono che il loro lavoro venga recepito, accolto e rispettato. La maggior parte delle autrici presenti alla conferenza è animata da sentimenti politici e desidera scrivere testi che travalichino i confini del divertimento e che lascino un segno, per quanto marginale, nel mondo. Un segno che racconti di una diversità, di uno scarto dalla norma, di una specificità, perché tante sono le sfumature che colorano una cultura, una tradizione, un momento storico. Viene naturale constatare la propria ignoranza quando le iraniane si offendono a essere erroneamente etichettate come arabe: in realtà, sono persiane. Le canadesi proprio non ci stanno quando una delegata europea accomuna la loro cultura a quella statunitense asserendo che “americani e canadesi sono tutti uguali”. In Uganda l’omosessualità è illegale e punita dalla legge, quindi è un argomento molto pericoloso da trattare ovunque, a maggior ragione in teatro. Scopriamo che in Sudafrica il colore della pelle assume una rilevanza straordinaria quando arriva il momento di scegliere un attore o un’attrice per interpretare un determinato ruolo. Raquel Almazan, spagnola trapiantata a New York, ci racconta del suo lavoro nelle prigioni sudamericane; in alcune di esse ogni anno viene indetto un concorso di bellezza in pompa magna, l’unico evento che dà una forma di visibilità alla donna carcerata, sebbene a essere «viste», di fatto, non sono che le sue doti fisiche. Da questa esperienza nasce La Paloma Prisoner, un testo potente in cui mitologia, folclore e contemporaneità si fondono.
La delegazione indiana ha partecipato con testi di grande eleganza e bellezza. Presente anche quest’anno un’associata storica di WPI, Jyoti Mhapsekar, che dal 1975, avvolta nei suoi coloratissimi saari e accompagnata dall’artista e attivista Stree Mukti Sanghatana della Women’s Liberation Organization, porta il teatro nelle comunità più povere e disagiate del suo Paese, usando il linguaggio drammaturgico, l’umorismo e la musica per parlare di temi forti come lo stupro, la morte per dote e l’analfabetismo. Le sue connazionali Anuradha Marwah e Gowri Ramnarayan hanno proposto rispettivamente una riscrittura del Pifferaio magico ambientata in uno slum indiano e un testo dalle potentissime risonanze ancestrali sull’estinzione di una tribù aborigena sfruttata dal governo locale per la caccia della tigre bengalese. Divertentissimo il testo della indo-austriaca Bettina Gracias, che affronta in modo sapiente e raffinato il tema dell’annoso dissidio tra cinesi e tibetani.
Si rivela vivacissimo il panorama della drammaturgia australiana. L’esplosiva Van Badham presenta il politico e surreale How it is (or As you Like it), in cui la discriminazione di genere causa spiacevoli e imprevisti incidenti durante l’allestimento del celebre testo scespiriano. Thali Corin in Girl in Tan Boots orchestra una detective story intricatissima e ricca di suspense basata sugli annunci per incontri al buio della free press. In Black Box 194 Rosemary Johns ci racconta cosa è successo sul volo 149 della British Airways il 2 agosto 1990, giorno dell’invasione del Kuwait.
L’egiziana Sondos Shababek, drammaturga e giornalista, è l’autrice di Tahrir Monologues, una serie di monologhi ispirati a quelli della vagina, che raccontano però la rivoluzione egiziana (la così detta «primavera araba»), attraverso le voci delle donne che l’hanno vissuta. Il tema poco frequentato del turismo di guerra è al centro di War Tourists della pluripremiata finlandese Laura Ruohonen, ambientato all’epoca del conflitto franco-prussiano; un vero capolavoro di sottile ironia veicolata da un uso raffinatissimo del linguaggio e del dialogo. La palestinese Mirna Sakhleh si è lasciata ispirare da Seven Jewish Children di Caryl Churchill per scrivere il suo Seven Palestinian Children, mentre il libro Women Who Love Men Who Kill di Sheila Eisenberg ha rappresentato il punto di partenza del bellissimo Amore assassino della nostra Patrizia Monaco, che speriamo di incontrare nuovamente alla prossima conferenza di WPI, accompagnata per l’occasione da una folta delegazione di colleghe italiane. L’appuntamento è a Città del Capo, in Sudafrica, nell’estate del 2015.
Valentina Rapetti
Per non disperdere i commenti su tre pagine li abbiamo chiusi sulla 2° e 3° parte, è possibile dunque commentare nella 1°
(link alla prima parte)
Per informazioni:
Women Playwrights International: http://www.wpinternational.net/
Riksteatren: http://wpic.riksteatern.se/
http://www.facebook.com/WPIC2012 (qui si trovano link ai video di alcuni speech della conferenza)
Contattare Valentina Rapetti o Bruna Braidotti (rappresentanti italiane di WPI) attraverso la redazione di TeC