Questo testo è stato scritto da Attilio Scarpellini per “Losers” di Tony Clifton Circus. Le parole del critico arrivarono come un vento gelido tra i pugni dei due performer e le risate del pubblico. Agli spettatori più attenti la possibilità di percepire il cortocircuito: cosa ci fa la critica all’interno dell’oggetto che dovrebbe analizzare? La voce di Scarpellini al ritmo delle sue personalissime cavalcate radiofoniche incalzava lo spettatore e fermava il tempo sospendendo la performance in un’altra dimensione, quella dell’ascolto e della riflessione. A.P.
Ora Babbo Natale è morto sul serio, è stato il primo ad andare a tappeto sulla scena di Losers – Dente per dente, il lavoro dei Tony Clifton Circus che ha inaugurato Perdutamente al Teatro India di Roma. Era un colosso più alto di Primo Carnera, ma anche un pallone gonfiato: si è afflosciato penosamente, risucchiando tra le sue spire un malcapitato bambino. L’era delle uccisioni simboliche del padre è finita. E anche quella delle pistole caricate a salve spianate contro il pubblico. Nicola Danesi De Luca e Jacopo Fulgi hanno sempre goduto nel mostrare che stavano facendo qualcosa mentre in realtà ne stavano architettando un’altra. Ma quando sul palcoscenico della sala A hanno scoperchiato un telo nero che copriva un vero ring, si è capito che stavolta le loro ambizioni rasentavano l’onnipotenza: come i grandi mitomani di certi romanzi o di certi film, che restano impigliati nelle tagliole delle loro bugie, come i seduttori che si auto-seducono e si trasformano in amanti o in eroi, i Tonies volevano dare una lezione al teatro, dove la parola ring è poco più di una condizione dello sguardo e il corpo è una verità che fa spettacolo, quasi mai la verità dello spettacolo.
Si è capito che lì, sul quadrato, ci sarebbero saliti davvero passando sotto le corde. Nello schermo su cui scorreva il film del retroscena erano ancora soltanto due clown travestiti da atleti, ma sempre più affannati in quel loro correre, saltare, soffrire, in quel loro entrare pericolosamente in parte. Era l’antefatto virtuale di una ribalta reale dove tutto, al contrario, appariva falso, messo in scena, interpretato: l’attore più attore nel cameo del presentatore, i secondi agli angoli, la ragazza che passa col cartello. Un gioco di società, il rito trito e ritrito, il riflesso di mille film. Tutto tranne loro, dal primo colpo in poi, o forse no, dal secondo: con il primo finisce soltanto qualcosa, l’illusione plastica del gesto, è dal secondo che il reale, cioè l’imprevedibile, entra in scena con il tonfo attutito del guantone che incontra la carne.
Il circo e il ring sfruttano la stessa materia poetica, la sofferenza: il pubblico la trova sempre irresistibile. Ma il clown la imita e la astrae, il pugile, molto più antico, la trasforma in un linguaggio che ha qualcosa di simile al cinema (e di fatti il cinema ama il pugilato): è reale nel modo più sfacciato, gronda sullo spettatore con fiotti di sudore e di sangue che i potenti spot puntati sul ring hanno il compito di far brillare come perle inimitabili per qualunque altra arte, per qualunque altro spettacolo. Installare un ring su un palcoscenico è una contraddizione insanabile. Perché tutta la realtà può esser convocata nel quadrato del teatro, ma a patto che nessun reale vi entri mai in gioco. E così dal primo uno-due, dal primo lento scambio di pugni, veri e pesantissimi, Nicola e Jacopo hanno cominciato a porsi una sola domanda:
ora che il reale è entrato in noi
come uscirne
(come uscirne,
come uscirne) ?
Attilio Scarpellini