Ospitiamo la recensione di Tommaso Chimenti sullo spettacolo L’isola di Tommaso Santi, in scena al Teatro Metastasio di Prato per la regia del direttore artistico Paolo Magelli.
Alla prima replica l’attrice Naira Gonzalez, ex Odin, ex César Brie, seduta in sala, era entrata in scena ed aveva interrotto la pièce dopo un quarto d’ora urlando il suo disagio al grido «Non è più possibile in quest’Italia vedere spettacoli così terrificanti». Ecco, sarà questo fuori programma salvifico la cosa che più si ricorderà nel tempo di questa Isola, nuova produzione andata a fondo del Metastasio.
Varata con la solita atmosfera da capolavoro (ci ricordiamo Il giardino dei ciliegi) e poi sgonfiatasi come canotto bucato al largo. Sette naufraghi, un gommone, un naufragio, un’isola che prima è miraggio e poi quando si manifesta è un cumulo di rifiuti partenopei come girone dantesco o vulcano berlusconiano a Villa Certosa.
Attori schiacciati, negli stretti “magellani”, che non riescono a salvarsi nel tritacarne del recitar cantando, concitati, logorati, stanchi e stressati, eccessivi, smisurati, esagerati, tesi, gli occhi fuori dalle orbite, nei cori da Zecchino d’Oro, negli sguardi allucinati, in quella sempre veemente espressività sopra le righe che rende tutto grottesco, al limite del pacchiano.
Il testo è del giovane autore pratese Tommaso Santi, che già apprezzammo in Stracci. Si salva dall’affondamento della Costa Concordia teatrale, dall’essere ingoiati nei flutti dell’inconcludenza, soltanto Mauro Malinverno, con l’esperienza, prende in mano le redini ed il timone, memore delle ultime uscite con la tanto celebrata Compagnia Stabile (selezionata due anni fa dopo oltre 200 casting!) dove recitano, per la maggior parte, attori con i quali il regista Magelli aveva lavorato, sempre a Prato, in Animali nella nebbia del 2005 e L’orchestra del Titanic, l’anno successivo.
Le scene sono state ideate e realizzate dal fratello della primattrice della compagnia. Anche Santi, come Valentina Banci (quasi una Eleonora Duse) e Francesco Borchi, fanno parte della piccola compagnia pratese Kulturificio n.7, dalla quale Magelli ha attinto a piene mani, portandoli tutti sul transatlantico dello Stabile.
Il gommone tra i flutti non può non ricordare certe fiction di stampo americano, ma i vocalismi rendono il tutto aulico, lontano, a tratti inaudibile per lo stridore, inascoltabile per gli acuti che colpiscono come canti di sirene e per la distanza da una qualsiasi parvenza di vero. Certo, niente di naturalistico, si dirà.
Il tutto però diventa parodistico, tendente al caricaturale, prossimo al burlesco. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Subito capiamo che i sette samurai o i sette peccati alla deriva sono già cadaveri e soltanto loro non lo sanno, ma le pose da vampiri o dead man walking qualche sospetto alla platea lo fanno venire già al quinto del primo tempo. Il manovale in tuta blu che parla soltanto con citazioni riprese da grandi intellettuali di sinistra ci dimostra che non tutti sanno che cosa è stata la Perestoika. Forse Naira Gonzalez aveva ragione.
Tommaso Chimenti
Intorno a questo spettacolo e in seguito ad alcune recensioni pubblicate da Tommaso Chimenti e da Massimo Marino, si è sviluppato un dibattito che ha coinvolto anche il presidente del Teatro Metastasio Stabile della Toscana. Per approfondire la questione leggi:
Recensione di Tommaso Chimenti apparsa su Corriere Nazionale Lunedì 8 Ottobre 2012
Recensione di Massimo Marino apparsa su BOblog – Una città che parla Mercoledì 10 Ottobre 2012
Commento del presidente del Metastasio Umberto Cecchi apparso su Pratoblog Venerdì 12 Ottobre 2012
Risposto di Tommaso Chimenti al commento del presidente dello Stabile di Toscana
Si resta senza parole nell’osservare le tante forme di aggressività ingiustificata verso la critica che sta esercitando semplicemente le proprie funzioni professionali. E poi ci si augura che “ il critico conservi sempre una sua assoluta libertà”. Ma di quale libertà stiamo parlando ? Della stessa di cui viene privato denigrandolo?