La nuova identità della cultura festivaliera senese si coagula nell’eterogenea proposta di Sienafestival, che ha appena concluso la prima edizione portando nell’offerta e nella composizione direttiva l’eredità di tre importanti eventi, Voci di Fonte, Contemporaneamente Barocco e TeatrInScatola. Un’unione di certo dovuta ai problemi economici cittadini ma che, se interpretata nella giusta direzione, può portare interessanti novità: per ora c’è la creazione a freddo di un nuovo soggetto, messo in bella mostra, con vestiti tutti nuovi. In questo senso un ripensamento negli anni futuri è atteso: se il nuovo nasce evidentemente dalle ceneri delle esperienze passate perché disperderne il lascito nel vento? Che si crei allora un archivio – basterebbe online – per raccontare a chi non ha avuto la possibilità di conoscerlo cosa è stato ad esempio Voci di fonte e l’abbinato premio alla scrittura di scena dedicato alla memoria di Lia Lapini, che per quattro anni ha reso possibili nuove produzioni.
La volontà di mettersi in relazione con la città è visibile, le scelte per quello che riguarda la sezione teatrale sono nette e condivisibili, pure nella chiusura popolare e di richiamo affidata a Paolo Rossi, voce fuori dal coro, nello stesso cartellone dove sono passati ad esempio Danio Manfredini e Daniele Timpano, alfieri della ricerca teatrale e attoriale lontani dall’intrattenimento main stream. Eppure la scelta non stona, anzi è come un grande saluto alla città, un premio e un cortocircuito che, se utilizzati a dovere, permettono un vivace contagio. Contagiosa d’altronde è la forza che il minuto comico mette a disposizione della platea del Teatro dei Rinnovati, al completo pure nei palchetti più alti. Al di là delle premesse contenute nelle note di accompagnamento dello spettacolo, la serata è un grande rito di passaggio: un momento nel quale la comunità si stringe attorno al proprio clown non solo per lasciarsi alle spalle i difficili momenti, ma anche per riflettere e guardare avanti.
La struttura è quella classica del teatro canzone, con un ritmato alternarsi di satira politica e sociale (frecce per tutti da Berlusconi ai rottamatori del Pd, fino al momento poetico dedicato alle liriche di Sandro Bondi), colorata qua e là di surreali provocazioni: «Invadiamo la Germania, poi ci arrendiamo e ci facciamo ricostruire – ipotizza Rossi per superare la crisi – legalizziamo la criminalità organizzata, che si chiama così per differenziarsi dal Ministero della Cultura». Ma alla satira fa da contrappunto la quotidianità famigliare, il matrimonio, i diritti civili; la biografia dell’artista e il suo viso – incontenibile maschera di tecnica e sincerità – sono il collante drammaturgico primario per tenere insieme la «serata di delirio organizzato». Che ci si trovi di fronte a un work in progress puntellato da molto repertorio è di immediata comprensione, che questi materiali abbiano la forza e lo zelo per trasformarsi in uno spettacolo cristallizzato e definito ne siamo meno sicuri: forse sarebbe semplicemente un’altra cosa. Della sottile trama rincorsa sulle note di accompagnamento – nella quale un uomo si perde sulle montagne del Carso – rimane formalmente ben poco, qualche passo che trova spazio con difficoltà tra racconti e citazioni.
È dolcissimo infine il filo rosso che lega Rossi a Enzo Jannacci, una figura presente come padre e maestro, pronto a dispensare consigli e trucchi, ma vicino come un amico da riaccompagnare a casa nelle albe milanesi. A lui il nostro fool dedica gran parte dello spettacolo un finale nel quale, accompagnato da chitarra e fisarmonica (I virtuosi del Carso) e pizzicando un ukulele, reinterpreta due successi dell’amico, “Faceva il palo” e “Ho visto un re”.
Andrea Pocosgnich
visto il 12 ottobre 2012
Teatro dei Rinnovati – SienaFestival 2012 [vai al programma]
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