Quest’anno l’Italia è stata spazzata da decine di correnti atmosferiche. E, forse per prendere le armi contro la potenziale noia del mestiere – in agguato a ogni finale di stagione – i meteorologi si sono impegnati a coniare un nome per ciascuna di esse. Non fosse altro perché gli italiani avessero costantemente “qualcuno” con cui prendersela. E così, a fare il bello e il cattivo tempo non sono state complicate parole composte, ma personaggi come Nerone, Scipione, Minosse, Caligola, Lucifero, Virgilio, Caronte, con Beatrice e Poppea a dare una bella sciacquata a tutti.
Per certi festival non è poi troppo diverso. Da qualche anno a questa parte sono andati oltre la semplice vocazione di celebrazioni annuali, andando ad assumersi il compito di un sunto ideologico trasmesso sotto forma di selezione di eventi spettacolari. Registrando certe volte non poco successo e dimostrando una spiccata vena profetica. In fondo siamo tutti attaccati – o vorremmo esserlo – all’idea che il teatro ancora oggi sia parte del vivere civile e che, in quanto tale, porti con sé delle responsabilità.
Il festival Short Theatre a Roma da ormai sette anni si incarica di essere l’evento di ritorno dalle vacanze della stagione romana, una sorta di primo giorno di scuola dove ci si incontra, qualcuno ristorato dalle ferie qualcun altro no, per discutere le sorti dei mesi che verranno, tutti insieme spettatori di un programma sempre di alto livello. Stavolta il compito di Short sembra essere più delicato che mai. Perché la stagione romana, in questo 2012-2013 offrirà ben pochi momenti di ristorazione per occhi e animi. Short apre il 5 settembre al Teatro India, che proseguirà la sua programmazione fino a metà dicembre, prima di lasciare la città amputata di uno dei suoi arti fondamentali, impegnato per i successivi mesi in una ristrutturazione da cui molti si aspettano (anche troppi) miglioramenti. E allora più che mai quest’anno il nome da assegnare a un evento diventa fondamentale. West End non è più un quartiere di Londra (quello dei teatri e dell’intrattenimento), ma – si legge nella presentazione – «la fine infinita dell’occidente, che appunto non finisce mai». Un programma frontale, variegato, che spalanca le ali alle collaborazioni internazionali, alla sprovincializzazione, che negli scambi con altre realtà cerca opportunità di produzione, di circolazione. Sicuramente di approfondimento.
Mai dimenticare l’ironia. Per questo si parte con Homo Ridens, il progetto site-specific del Teatro Sotterraneo che analizza il meccanismo della risata. Il collettivo francese Vivarium Studio diretto da Philippe Quesne approda con lo spettacolo L’Effet de Serge aprendo il progetto TransARTE, promosso dall’Institut Français per questo autunno e che proseguirà nel 2013 in Sud America; dello stesso ciclo fanno parte anche la performance Adieu, in cui Jonathan Capdevielle stimola i sensi e la partecipazione dello spettatore con un montaggio di canzoni e dialogo e l’esperimento di improvvisazione Générique del collettivo W. Dal Regno Unito arriva l’irriverente Franko B., qui alle prese (oltre che con un workshop dal 3 al 7 settembre all’Angelo Mai) con I’m Thinking of You, installazione onirica sulla memoria, ma torna anche il talento del perfomer Alessandro Sciarroni, che da Madame Bovary ricava Your Girl. Nel canneto va in scena L’Omosessuale o la difficoltà di esprimersi di Copi firmato da Teatri di Vita, mentre la danza conquista le sale con l’ironico Bis di Ambra Senatore e Antonio Tagliarini su musiche di Scarlatti e David Bowie e con l’ermetica partitura mimica – che è poi un codice complesso su testi che narrano la morte di William Burroughs – Fake For Gun No You di Kinkaleri. Al colosso Ikea è sarcasticamente dedicato Generazioni Componibili di Alessandro Bergallo, Emanuele Conte e Andrea Pugliese dal Teatro della Tosse, mentre c’è spazio anche per un concerto recitato, quello di Fabrizio Parenti, Stefano Acunzo e Marco Della Rocca (P.A.D.) dal titolo Pulp.
La scena portoghese è protagonista nel progetto Palco Ovest, che apre con la coreografia 3 interlúdios e o galope do nariz di Luis Guerra, che compare anche in Olhos caídos di Tânia Carvalho, mentre Miguel Loureiro racconta Juanita Castro. Il network internazionale IYMT (International Young Makers in Transit) raccoglie, oltre a Short Theatre, altri festival europei intorno alla promozione dei giovani artisti, tra cui i nostri Matteo Latino (Infactory) e Pathosformel (La prima periferia e An Afternoon love), ma anche la danza belga-portoghese di Pieter Ampe & Guilherme Garrido (Still Standing You) e Carles Casallachs con Por Sal y Samba e il John Quixote di John The Houseband.
Le belle bandiere raccontano Autobiografie di ignoti, Claudio Morganti porta una Lettura del Woyzeck, Fattore K del Gospodin del giovane drammaturgo tedesco Philipp Löhle; torna Leo Bassi con Utopia, Paolo Musìo si unisce a Thorsten Kirchhoff nel progetto Voce, in prima nazionale come il concerto per piano solo di Mauro Sabbione Tango... nel fango di Rabelais. Di Punta Corsara rivedremo Petitoblok, i forsennati Tony Clifton Circus stringono in platea 20 spettatori per le repliche italiane di Missione Roosvelt, coprodotto da Area06. 20 sedie anche per il nuovo progetto di Caterina Inesi per Immobile Paziente, Come liberarsi di Bela Bartok in cinque movimenti.
Fu ottimo, la scorsa edizione, il successo del progetto Iberscene in coproduzione con l’Istituto Cervantes. Jorge Dutor y Guillem Mont de Palol debuttano per la prima volta in Italia con Y Por Qué John Cage?, Sonia Gómez con la presentazione e la performance site-specific Experiencias con un desconocido, Kamikaze Producciones con La Función Por Hacer, che prende le mosse dai Sei personaggi in cerca d’autore pirandelliani, Juan Dominguez/Los Torreznos con Ya Llegan Los Personajes.
E torniamo alla politica con Motus. Dopo The Plot Is the Revolution, nato dall’incontro tra la compagnia e Judith Malina, cofondatrice dello storico The Living Theatre, il progetto PLOT prosegue, dopo il debutto a Drodesera, con W – 3 atti pubblici (Where, When, Who).
Nel discorso di consegna del premio Nobel per la Letteratura nel 2005 Harold Pinter chiudeva dicendo: «Nonostante tutte le diversità che ci separano, un’indomita, costante, ardente determinazione intellettuale, come cittadini, a definire la reale verità delle nostre vite e delle nostre società è un dovere cruciale che spetta a tutti noi. Se tale determinazione non è insita nella nostra visione politica non abbiamo alcuna speranza di riaffermare ciò che siamo così vicini a perdere – la dignità dell’uomo».
AREA 06 e il suo consulente alla programmazione Fabrizio Arcuri hanno rivolto lo sguardo al presente e ne hanno registrato una decadenza. Se la contemporaneità è questo, un sentimento di frana, di discesa, una sensazione di tempus fugit e quasi di “ultimità”, allora il teatro che si offre deve parlare di questo. Rappresentativo di questa condotta è Dov’è finito l’Occidente?, il “corso di orientamento per chi ha perso la bussola” che, sotto forma di calendario di incontri condotti da Graziano Graziani, si occuperà di tracciare una linea di ragionamento, lo stesso compito che hanno ricevuto Teatro e Critica, con l’apertura di un laboratorio gratuito che mira a costruire una redazione di nuova critica impegnata a seguire l’intera durata del festival e la Casa dello Spettatore che, oltre a condurre il pubblico (preferibilmente “non habitué” nelle sale di India e Pelanda) organizzerà dei momenti di incontro e riflessione sui temi emersi dagli spettacoli, alla maniera dell’agorà greca.
Torna dunque l’urgenza di registrare una memoria analitica e consapevole, di raccontare il presente. Un presente che sembra in corsa contro l’estinzione.
Sergio Lo Gatto