Il riavvolgimento. Cosa mai convince sia il percorso ritroso a dare respiro agli eventi? Forse una carica possente che innesca una dualità di sentimenti: riavvolgere falsa il ricordo e insieme gli dona nuova nobiltà. Rubo a Kurt Vonnegut una immagine, spesa per le immagini di guerra di un film che, visto al contrario, sembrava rimettere tutto a posto, ricostruire le macerie dei bombardamenti, estinguere il rogo degli incendi, sorridere dopo la devastazione. Finché, per dire della sola forza visionaria e fallace, il protagonista non è costretto ad uscire, perché deve incontrare un disco volante. Questo ricordo m’ha attraversato, durante lo spettacolo di Antonio Tagliarini e Daria Deflorian, dall’emblematico titolo Rewind.
La struttura si regge su un proposito: ricostruire la sensazione che ha attraversato la visione di uno degli spettacoli più importanti della storia del teatro moderno: Cafè Muller di Pina Bausch, del 1978, che ogni fortunato spettatore del tempo ha definito una autentica meraviglia. I due attori si parlano e, con di fronte uno schermo di computer, ripercorrono lo spettacolo con quella spassionata fiducia nel riavvolgimento, che presto svelano invece essere ingannevole. Ma dunque: quanto dovrà concedere il simbolo alla percezione? C’è una sedia, acquistata per 5000 euro su e-bay, come una delle sedie di Cafè Muller. Le sedie erano di legno, questa è di eco-pelle, identica ad altre che via via vanno trovando in camerino. Dopo lo sgomento iniziale poco importa. Quella è la sedia che loro hanno deciso essere di Pina Bausch, e allora capisco, il senso di tutto: la realtà e la finzione hanno, nel contemporaneo, un unico padre; la memoria è illusoria e del ricordo non si cura, si cura di chi la esercita, per comporre il ricordo più efficace.
Tagliarini/Deflorian affrontano dunque, in dialogo, la scomparsa della realtà, mettono in discussione il ricordo laddove si fa memoria collettiva, ma c’è dietro la realtà una immagine retroflessa che forse, spero, sarà in grado di rinnovarla, donandole nuovo senso. Usano la delicatezza e l’ironia, giocano con il teatro e la sua potenza evocatrice, il loro sensore fa da tramite per la nostra percezione, raccontano lo spettacolo per decostruirlo, al modo in cui il nuovo sconfigge il vecchio, finché il rintocco del Tempo non entra, come un recente splendido romanzo di Bradbury, a fermare questa successione. Poi la danza. Giocano con la sua simmetria e svelano così la sua magia dolcissima: la geometrica sequenzialità del passo, l’istinto mimetico dei gesti che vela e svela, il corpo e lo spirito.
Questa coppia, non nuova all’analisi del contemporaneo, mi attrae dunque in un lavoro silenzioso, perché di silenzio ha bisogno nei momenti in cui altri avrebbero parlato, e di parola, quando altri sarebbero rimasti in silenzio: prova a sconfiggere, così, una convenzione, prova a sovvertire, non assecondare, la deriva della sensibilità. Alla fine ammettono entrambi, di non averlo visto. Ma non importa più. Non resta allora che rimandarlo indietro. E vederlo daccapo.
Simone Nebbia
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Visto a Torino
Cavallerizza Reale [vai al programma 2009/2010 di Cavallerizza Reale]
Prospettiva 09 [leggi l’articolo di presentazione della rassegna]
Rewind
omaggio a Café müller di pina bausch
di e con Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
Planet 3 e Dreamachine (Roma)