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La navetta del critico: primo weekend a Inequilibrio

Alma Söderberg in Cosas - Foto di Futura Tittaferrante

C’è una parola chiave che negli ultimi anni dei festival che si fanno itineranti sta diventando sempre più vivace, se ne parla come di un possibile ausilio al buon procedere del festival, un aggregante capace di tenere insieme la varietà degli spettatori – che siano essi operatori giornalisti o più opportunamente pubblico pagante –, uno straordinario veicolo di pensieri che si recano in una platea e da essa tornano indietro: la navetta, la cura dello spostamento che sa diventare un luogo mobile di dibattito e confronto (come dimenticare lo scorso anno, proprio a Castiglioncello, il ritorno dal teatrino di Guardistallo dov’era andato in scena il Jacob Von Gunten di Lisa Natoli (recensione), i discorsi accesi con Claudia Cannella sull’autore Robert Walser, così amato dal direttore Nanni che con noi ritornava). Quest’anno alle navette si sostituisce l’impagabile impegno di stagisti da corsa che spostano chiunque, automuniti, in giro per le località del festival. Ma certo, con così tanti spettacoli sarebbe proprio necessario averne una…e allora una me la prendo, ideale, per attraversare rapidamente cosa ha offerto in scena questo primo week-end di Inequilibrio.

Matteo Fantoni l’avevo incontrato a Kilowatt un anno fa, dormiva nella stessa stanza dov’ero ospite. In quell’occasione faceva il tecnico e non sapevo fosse in realtà questo artista così dedito alla danza e all’uso della maschera: quello del suo Onirica – arsenic dreams – qui in prima nazionale – è Teatro di movimento (così traduciamo il Movement theatre che mi dice aver studiato in Svizzera), il suo obiettivo estetico ha forti parentele con la Familie Flöz, quest’uso

Matteo Fantoni in Onirica - Foto di Marianna Masselli

della maschera non solo figurativo ma improntato all’innesco di una magia quasi da clownerie che tuttavia raccoglie e sviluppa spunti drammaturgici. Lo spettacolo, senza parole, si articola lungo una serie di scene figurali con tre attori mascherati in scena che disegnano una relazione fra un uomo e una donna, innamorati, al punto che lui le costruirà una statua talmente viva da diventare un’altra lei; costruisce invece Fantoni uno spettacolo di godibile senso estetico, meno chiara l’evoluzione drammaturgica che rimane un po’ schiacciata in un disegno che attrae fino a bordo palco, senza fare il passo che conduce l’ascolto e la percezione all’interno della scena. Avrà tutto da guadagnare, Fantoni, se investirà energie a rendere questo spettacolo più forte e concreto di ora.

Tra le performance site specific che pure questo festival sa offrire, di certo la più suggestiva e irripetibile è quella immaginata da Fosca (progetto di Caterina Poggesi), che con questo Rattingan Glumphoboo porta l’Orlando di Virginia Woolf in fondo al mare di una caletta scogliosa poco sotto il Castello Pasquini: Laura Dondoli, in lungo e decadente abito nero da lei disegnato, se ne sta su uno scoglio puntuto nell’ora incerta del tramonto, con il sole ormai basso e luce ancora viva, per poco ancora; è in quel momento che la performer finisce nelle acque da cui sembra essere nata e in cui sembra morirà, come fosse una sirena annegata dai troppi tratti umani, violentemente femminili; dialoga il suono delle onde con quello del violoncello per le mani di Matteo Bennici, la loro melodia governa i movimenti sussultori di lei, sospinti da questo incedere strappato, che strappa anche lei alla vita, prima, all’acqua poi.

inQuanto teatro in Il gioco di Adamo - Foto di Futura Tittaferrante

Il gioco di Adamo è lo spettacolo ragazzi di inQuanto teatro, nella sezione che già dalle scorse edizioni ha visto tanti protagonisti della scena teatrale misurarsi con materie cedevoli come il teatro per piccoli spettatori. Il loro gioco si avvale di una storia molto nota, cercando di reinventarla con gag divertenti, poco pretenziose ed elementi figurativi molto semplici (come ad esempio la carta), quasi a voler fornire un esempio che induca i bambini a fare teatro con le loro mani. Zaches Teatro presenta invece il primo studio di 48.Cronache di un silenzio, dal titolo Lost in time#1, performance che gode di un’impronta estetica ormai avviata alla maturità e che induce a buone sensazioni anche in vista di una ricerca maggiore ancora in ambito drammaturgico, senza dubbio la tappa dell’evoluzione in cui soffermarsi con più cura.

Alma Söderberg sono capitato a prenderla all’aeroporto di Pisa: zaino in spalla, un piccolo strumento in custodia, capelli biondi e statura da svedese, questa l’immagine di una performer che anche in scena – in questo suo Cosas presentato in duetto con il Dialogo musica-danza di Claudia Caldarano porta tutta un’energia vibrante e una qualità espressiva davvero di rilievo, mirando maggiormente alla vocalità e alla danza come elementi spettacolari e portando qui da noi una bella freschezza, soltanto non sorretta da puntelli concreti che lasciano la performance un po’ evanescente. All’aeroporto di Pisa avevamo scritto un cartello a penna, quasi invisibile, per riconoscerla. Ma non è stato necessario: chi vive di teatro si riconosce da lontano, le abbiamo sorriso e l’abbiamo portata al Castello. In fondo forse non è un caso che la sua prima navetta, per questo viaggio in Italia, sia stato io.

Simone Nebbia

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