Presentata durante la sesta edizione di Teatri di Vetro, la terza tappa del progetto pluriennale Eresia, che vede i Sineglossa impegnati in una ricerca intorno alla figura di Giovanna D’Arco, rappresenta un passo laterale rispetto al percorso finora intrapreso dalla compagnia. La forma teatrale che aveva caratterizzato Eresia Nera ed Eresia Rossa, infatti, deflagra in Eresia Bianca all’interno di spazi non convenzionali amplificando quella sinestesia e simultaneità dei linguaggi che era già caratteristica della produzione spettacolare del gruppo. Eresia Bianca è uno spettacolo ma è anche una performance, è un momento di esposizione del processo produttivo che conduce alla forma spettacolo ma anche il terreno in cui la stessa processualità che sta alla base dell’opera diviene prodotto artistico tout court. Concentrata sulla definizione della sua stessa identità e sulla formulazione di un’immagine/icona/simbolo capace di comunicare il proprio “io” ai posteri, la Giovanna D’Arco di Eresia Bianca, interpretata da Simona Sala, abita negozi e gallerie d’arte offrendo allo sguardo dello spettatore non solo un prodotto performativo ma anche il suo processo di costruzione. Ci spiega a tal proposito il regista della compagnia Federico Bomba: «In Eresia Bianca la ricerca di un contesto inusuale ci obbliga necessariamente ad una tipologia di lavoro diversa rispetto a quella utilizzata per Eresia Nera ed Eresia Rossa. Il processo creativo è esposto in vetrina e questo cambia dall’interno la costruzione del lavoro. Quando Simona prova, mentre cento altre persone la guardano, si ritrova già in una situazione spettacolare. Le modalità di svolgimento del suo lavoro saranno pertanto diverse da quelle che usualmente si attuerebbero all’interno di uno spazio protetto. L’esporsi attraverso la vetrina e l’abitare questi spazi così diversi implicano anche una semplificazione dell’apparato tecnico. La residenza di cinque giorni ci costringe a non poter raffinare ogni singolo dettaglio, cosa a cui di solito teniamo tantissimo. In Eresia Bianca cerchiamo di fare un lavoro sul macro immergendoci in una ricerca veloce e continuamente mutevole poiché strettamente collegata agli spazi che di volta in volta abitiamo».
Dopo aver proposto il lavoro all’interno degli spazi della galleria Quattrocentometriquadri ad Ancona, Sineglossa abita per Teatri di Vetro la gioielleria Iossellani R-01-IOS nel quartiere Pigneto di Roma. L’enorme vetrina che si affaccia sulla frequentatissima aria pedonale diviene invisibile filtro atto a separare lo spazio di residenza dallo sguardo dello spettatore. Dietro il vetro si costruisce l’identità di una Giovanna D’Arco contemporanea che, nelle vesti bianche disegnate da Valentina Sanna ricerca continuamente la propria idea di purezza. Sullo sfondo dello spazio scenico/abitativo delle fotografie in negativo mostrano volti di donne e uomini divenuti icone della nostra cultura, modelli sui quali il corpo di Simona Sala si plasma come a volerne recuperare le forme. Afferma Bomba: «L’immagine della nostra Giovanna si costruisce nella relazione con la rappresentazione iconografica di altri santi (San Sebastiano, Santa Rita etc.). Simona/Giovanna individua le posture che contraddistinguono tali figure per poi indossare la loro natura e divenire essa stessa icona per i posteri. Allo stesso tempo abbiamo voluto individuare l’immagine di una Giovanna D’Arco guerriera costruendo due scene diametralmente opposte: da un lato un personaggio immerso in un clima rivoluzionario, rappresentato dalla scelta di due fotografie di Piazza Tahrir (tra cui quella di una donna che si era fortemente esposta alla rivoluzione), dall’altro un personaggio che si confronta con un’idea più violenta di purezza, ovvero con l’idea di razza. Simona trae spunto da una celebre frase utilizzata da Nichi Vendola: “Non esiste cambiamento che non abbia avuto una visione ad ispirarlo”, una frase che continua a ripetere guardando il pubblico, come fosse in un comizio, fino a quando sul fondo della scena non appare l’immagine di un Hitler visionario. Hitler con le mani al petto guarda in alto e sogna. La frase di Vendola è estremamente pura ma anche terribilmente ambigua. In fondo potrebbe essere valida anche per Hitler. Simona inizia a nutrire dei dubbi per tale affermazione. Il dubbio è un elemento importantissimo all’interno del nostro progetto. Il significato etimologico di Eresia è proprio dubitare».
Se tutta la produzione artistica di Sineglossa è tesa ad un’artigianalità che trova radice nella reinvenzione, attraverso materiali poveri, delle specificità appartenenti a più sofisticate tecnologie di produzione e riproduzione audiovisiva, il medium predominante in Eresia Bianca è quello fotografico. «Abbiamo fatto questa scelta partendo da Facebook — ci spiega ancora Bomba — una ragazza che oggi volesse comunicare qualcosa di sé, o volesse fare un’operazione di marketing su se stessa (utilizzo questa parola nel suo significato positivo e non negativo), utilizzerebbe lo strumento fotografico. Eppure la fotografia è ambigua, produce immagini solo apparentemente oggettive. Abbiamo scelto per questo di utilizzare dei negativi». L’immagine della Giovanna D’Arco santa, dunque, può formularsi solo attraverso il continuo processo di imitazione e riproduzione non della realtà, ma dell’immagine che la realtà dà di sé tramite lo strumento fotografico. Il processo di imitazione dei negativi, messo in atto da Simona Sala, configura la performance come un succedersi di “pose”, intendendo per posa “non un atteggiamento della cosa fotografata (…) bensì il termine di una “intensione” di lettura: guardando una foto io includo fatalmente nel mio sguardo il pensiero di quell’istante, per quanto breve esso sia stato, in cui una cosa reale si è trovata immobile davanti all’occhio” (Roland Barthes, La Camera Chiara). Il rapporto dicotomico tra essere ed essere stato, tra realtà e verità è dunque traslato nel rapporto tra il medium fotografico e il liveness della performance, da cui la continua necessità di Simona/Giovanna di essere messa al rogo, morire per far morire l’azione, bruciare il momento performativo all’interno del mezzo fotografico, ricondurre a quell’attimo in cui il corpo si immobilizza dinanzi all’occhio di un testimone e si santifica nel divenire icona. Sul versante opposto lo sguardo dell’osservatore, lungi dal cogliere l’interezza dell’immagine costruita, si ritrova costretto a scivolare da punctum in punctum (le linee del collo, l’occhio destro, l’occhio sinistro, la bocca, la spalla, un dettaglio dell’abito della performer) individuando in ogni singolo particolare “quel qualcosa che io aggiungo alla foto ma che è già nella foto” (Barthes). Non è un caso se la compagnia chiede allo spettatore di partecipare alla costruzione dello spettacolo inviando dei feedback intorno al tema della purezza: «Chiediamo agli spettatori di vedere una parte delle nostre prove o della performance, quindi di fare delle fotografie o di pensare ad un’immagine che, a loro parere, possa essere espressiva rispetto al tema trattato. Raccogliamo queste immagini e le riproponiamo attraverso il nostro filtro in Eresia Bianca. Possiamo inserire queste immagini all’interno del lavoro o nelle sequenze già esistenti oppure, se pensiamo possano sviluppare dei concetti che non abbiamo ancora indagato, apriamo una nuova pagina»
Significativa diviene in questo contesto l’idea di costruzione drammaturgica: «Arrivo in residenza con in mente le scene che voglio costruire, con i concetti che voglio indagare e con delle idee sugli elementi che voglio inserire in alcune sequenze. Naturalmente, però, devo tenere conto del fatto che lo spettatore non vedrà un lavoro dall’inizio alla fine come in teatro. In questo caso, dunque, porto avanti una costruzione modulare. Posso operare tramite salti logici notevoli perché ci può essere una separazione tra un modulo e un altro. Il pensiero drammaturgico è quindi applicato alle singole sequenze pensando ad un pubblico che potrebbe essere meno attento. Allo stesso modo bisogna gestire il tempo interno e il tempo esterno allo spazio performativo. Non c’è un momento in cui sai che il pubblico vedrà quello che hai fatto. Non c’è un pensiero a priori su ciò che si vuole far vedere al pubblico. Bisogna bilanciare gli umori interni e quelli esterni».
Tale dimensione di interno ed esterno è infine esplorata attraverso il deflagrare del tempo performativo all’interno di ulteriori contesti linguistici. Non solo il processo di costruzione e organizzazione economica della performance è reso visibile in quanto parte dell’opera, ma lo stesso essere effimero dell’intero evento performativo è infine concretizzato in un oggetto di moda (t-shirt maschili e femminili) capace di divenire sua traccia o testimonianza. Conclude a tal proposito Federico Bomba: «Non abbiamo mai lavorato con una costumista fino a quando Valentina Sanna non ci ha offerto il suo contributo. Abbiamo scelto di produrre delle magliette sia come sostegno per finanziare il suo lavoro sia per creare un oggetto capace di divulgare e continuare a far riflettere in altra forma su Eresia Bianca. Attraverso dei negativi intercambiabili, infatti, le magliette ripropongono il processo di costruzione di identità condotto da Simona durante la performance. Si tratta, dunque di far indossare l’effimero dell’evento performativo, e al contempo, continuare a giocare con la comunicazione della propria identità tramite la fotografia, consapevoli del fatto che qualunque immagine scelta non appartiene mai totalmente a noi stessi».
Matteo Antonaci
visto a Teatri di Vetro, maggio 2012
Programma Teatri di Vetro 2012
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di Sineglossa
con Simona Sala
immagini luminose Luca Poncetta
scena Simone Alessandrini
costumi e t-shirts Valentina Sanna
drammaturgia e regia Federico Bomba
una co-produzione Sineglossa e Grotowski Institute
con il contributo di Provincia di Ancona
con il sostegno di Piattaforma Matilde – progetto di Regione Marche e Amat