Un fiume ha due sponde, di qua e di là dalle acque. Certe volte però le sponde le hanno anche le strade principali, se poi sono quelle che sfociano nei ponti su quello stesso fiume, si genera allora una sorta di incrocio metà d’acqua e metà d’asfalto. Trastevere è lì, di là dal fiume, ma c’è una parte di quartiere che tutti conoscono, quella dei locali e della movida notturna, e c’è anche una parte invece nascosta, segreta, sull’altra sponda del Viale che ne porta il nome. Di là dalla strada. Proprio qui si trova la Casa delle Culture, Via San Crisogono che sembra un santo di quelli inventati, e invece esiste davvero ed esiste anche il teatro e, con esso, la gente che ci va. Già perché la sala è strapiena, a vedere questo Toghe rosso sangue di Les Enfants Terribles, compagnia fondata nel 2005 da Francesco Marino e che avevamo già incontrato per il loro caratteristico teatro in casa.
La sala è strapiena, come detto, e lo è di pubblico ignoto a chi frequenta i giri invece noti del panorama romano, soprattutto perché per una buona volta la comunicazione di un evento teatrale ha saputo bucare la resistenza dei media più sordi in maniera trasversale; peccato soltanto che il teatro abbia bisogno di mettere in scena tragedie perché si generi un qualche interesse. Perché di questo, si tratta: Toghe rosso sangue sono i 27 magistrati uccisi dalle mafie dal 1969 al 1994, la vita di ognuno donata alla costruzione di uno Stato italiano giusto e mondato delle sue nefandezze. Viene da domandarsi, oggi, se il loro sacrificio in parte promesso e in parte indotto da decisioni omicide sia davvero stato esemplare, se dal loro annientamento sia nato un seme di resistenza civile in grado di tener duro al tempo che, correndo, tende a dimenticare nello stesso atto di farsi memoria, per ogni celebrazione pubblica. Ma questa è una privata, in qualche modo: il teatro è luogo in cui si può bisbigliare e tener fede alla propria coscienza, in pochi attorno a un centro in cui si agisce una materia, si può ricordare con misura e senza magniloquenza retorica, si può parlare piano di quel che invece urla di dentro.
Il testo, scritto da Giacomo Carbone, prende le mosse dal libro omonimo di Paride Leporace che cercava di dare unità a queste storie, a frammenti di vita dispersi in una morte collettiva. Francesco Marino, regista e interprete con Emanuela Valiante, Diego Migeni e Sebastiano Gavasso, disegna una scena povera, una scatola nera con quattro sedie agli angoli e quattro voci che si scambiano informazioni di una storia che danno l’impressione di conoscere già tutti; per un po’ non si rivolgono verso il pubblico, finché in fila, schierati, dopo aver nominato ognuno dei giudici uccisi, ne pongono il conto finale alla fronte della platea. La scelta è di una narrazione piana e – diciamo – scientifica, decisamente legata alla cronologia degli eventi che fa da filo rosso, alternando la forma dell’inchiesta esteriore a quella del monologo partecipato che interpreta personaggi interni alla vicenda; soltanto alcuni momenti più leggeri, soprattutto musicali, allentano questa sequela di atrocità. Dopo lo spettacolo, in sala ospiti due magistrati che portano il loro racconto e una giornalista de Il Fatto Quotidiano, Rita Di Giovacchino, che pone le questioni più interessanti della serata: l’assoluta evidenza della pratica militare alla base di ogni strage, anche mafiosa (adombrando la presenza di altri e più gravi colpevoli), e la sensazione di inutilità che spetta alla verità quando non trova la strada per diventare prova processuale, a causa dei gangli messi in piedi da un sistema giudiziario scopertamente macchinoso.
Andando dunque a tirar le somme di questo spettacolo, la sensazione è che non basti un tema così forte perché abbia di per sé spessore sia di contenuto artistico, fermo sulla superficie della riflessione, che per il livello interpretativo di non particolare intensità, tranne forse l’ultimo monologo, dedicato a Paolo Borsellino, che porta verso una conclusione dello spettacolo come della sfilata dolorosa. Qui si apre di nuovo, dunque, uno dei nodi più spinosi per chi solo assiste o fa critica e si misura alla percezione e al giudizio: unica opportunità che ci si può permettere – se si vuole restare al riparo dal disagio di esprimere l’inesprimibile – dovrà essere quella di certificare, ratificare l’assoluta insindacabile necessità civile, soltanto se mai con un velato senso di timore che questa soppianti la necessità artistica, annientandone i principi basilari (e molti sono proprio giornalisti e magistrati che ormai hanno bucato lo spazio palco, da Marco Travaglio a Giuseppe Ayala) e legittimandosi della sola materia.
Simone Nebbia
Visto alla Casa delle Culture
Maggio 2012
TOGHE ROSSO SANGUE
uno spettacolo di Francesco Marino
scritto da Giacomo Carbone
ispirato da Paride Leporace
con Francesco Marino, Emanuela Valiante, Diego Migeni, Sebastiano Gavasso
costumi Olivia Bellini
disegno luci Nuccio Marino
assistente alla regia Annette Pieramico
responsabile di produzione Sebastiano Gavasso
organizzazione Marzia Martino