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Bash di Neil LaBute. Delitto senza castigo

Daniele De Martino e Giorgia Sinicorni - foto di Blu Lepore

Nella stessa settimana in cui il Teatro di Roma si giocava due degli eventi più attesi della stagione, il monumentale The Coast of Utopia di Tom Stoppard all’Argentina e il teatro “rifugiato” del Belarus Free Theatre all’India e altri importanti debutti riempivano platee (Daniele Timpano con il suo Aldo Morto al Palladium e Roberto Latini con Noosfera Titanic all’Argot), siamo andati a cercare anche qualcosa di meno “rumoroso”. Torna in scena al Cometa Off il Bash di Neil LaBute, reduce di un buon successo di pubblico e critica nel 2010 (Rodolfo di Giammarco gli dedicò una pagina appassionata sul suo blog di Repubblica Che teatro fa). Realizzando un progetto completamente indipendente, poggiato su un’autoproduzione degli stessi attori, Giorgia Sinicorni, Alessandro Riceci e Daniele De Martino vengono diretti da Leonarda Imbornone nel trittico firmato nel 1999 da quello che è uno dei drammaturghi statunitensi più apprezzati del momento, restituito sul palco del piccolo teatro del quartiere Testaccio in una messinscena semplice e apertamente appoggiata all’estro interpretativo dei tre attori.

Per il monologo Medea Redux Giorgia Sinicorni veste i panni neutri e lividi di una prigioniera del braccio della morte, siede sul rosso vivo di una sedia elettrica stilizzata (dal poggiatesta schizzano, tesi, raggi di spago azzurro come un’istantanea dell’alta tensione) e, capelli raccolti e nessun trucco, presta il volto spigoloso al terrificante racconto di un figlicidio, attuato per vendetta nei confronti di un padre biologico mai divenuto la figura che avrebbe dovuto e anzi rifugiatosi in una biografia lontana. Affondato in una poltrona di velluto della hall di un albergo, un distinto, inquietante e glamour Alessandro Riceci si occupa in Iphigenia in Orem di raccontare a un ipotetico sconosciuto come la morte della figlia neonata lo abbia salvato dal licenziamento. Infine è di nuovo Sinicorni ad accompagnare Daniele De Martino in A Gangle of Saints, un racconto disgrafico e sincopato che incastona l’orribile pestaggio a morte di un omosessuale nel bel mezzo di una gaia serata mondana a Manhattan.

Alessandro Riceci - foto di Blu Lepore

La forza di questo spettacolo è nell’ottima prova dei tre attori, ciascuno deciso a lasciare in camerino anche la più piccola oncia di pietà. La perfezione del secondo testo agevola Riceci, che subisce abilmente questo continuo singhiozzo di follia, sfiorando qualche punta di rara tangibilità; De Martino dovrebbe forse esigere un ritmo meno frenetico, in cui ritrovare certe sfumature già ben accennate; Sinicorni dimostra mestiere e solidità ed è affascinante intravederla attraverso i due personaggi come se di personaggi non avesse poi davvero bisogno, creando materia viva con una grande generosità d’attrice.

Le parole di LaBute emergono da una densa oscurità, il transito da una all’altra scena avviene con flash di luce che feriscono l’occhio e lasciano solo la matrice di un fondale d’allegoria cruenta: su una tela bianca stanno incastrati, in bella vista, un’ascia, un fucile, un coltello e una pistola. Simboli di morte, quattro declinazioni della violenza tutte riconducibili all’atto volontario, per eccellenza umano. Ad avvitare il disturbante vortice degli eventi narrati fino a farsi leitmotiv è la consonanza tra quella violenza e il carattere casuale che un fatto di sangue può acquistare, consapevolmente o meno, in presenza dell’occasione. Il senso di colpa viene spazzato via: nella dizione apatica e monocorde, negli abiti smorti, nel bagliore lugubre che isola i tre racconti in una pastosa oscurità, nella magnetica estraneità di tutti i personaggi (animati come da un soffio di vita putrido e senza alcun calore) rivive l’ombra di una morale da tragedia greca, schiacciata poi dalla desolante immanenza del libero arbitrio e dall’assenza, freddamente calcolata, di qualsiasi castigo. Perversione che ci lascia soli al freddo della nostra stessa poltrona.

Sergio Lo Gatto

in scena fino al 15 aprile 2012
Teatro Cometa Off
Roma

BASH
di Neil LaBute
regia Leonarda Imbornone
con Giorgia Sinicorni, Daniele De Martino , Alessandro Riceci
disegno luci Pietro Sperduti
scene Paki Meduri
musica Tiziano Novelli
assistente alla regia Elvira Berarducci
tecnica Sara Pascale
progetto grafico Daniele Zendroni

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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