Uscire fuori dagli spazi convenzionali, eludere dei confini forti della consapevolezza che essi solo rappresentano, appunto, una convenzione e che, come tali, possono essere ridisegnati, analizzati, provati come non effettivi e allora ridiscussi, alla costante ricerca di un punto di fuga. Non è il testo della pubblicità di un’automobile, è la constatazione paradigmatica di un orizzonte di ricerca che di confini non vuole sentir parlare. Il teatro. In gran parte delle lingue europee la radice di questa parola è la stessa e si riferisce al greco teatron, un luogo in cui si assiste a qualcosa e insieme l’atto stesso del guardare.
Questo perché, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, è stato il teatro stesso, nel suo evolversi attraverso i secoli, a fornirci innumerevoli prove di come riesca a esistere in assenza di un luogo deputato, in assenza di un testo da trasferire, in assenza di un tempo definito, addirittura in assenza di un corpo umano in scena. Ma non in assenza di, fosse anche uno e uno solo, spettatore che osserva. Questa carnale dipendenza è l’ultima alchimia, l’elemento chimico che genera tutti gli altri, in una catena di reazioni la cui soluzione di continuità è aperta al vento solare di ogni minima eccezione e alle sue straordinarie potenzialità di crisi.
“Il teatro oltre il teatro”. Questo il tema del ventiseiesimo congresso dell’Associazione Internazionale Critici di Teatro (AICT/IATC) svoltosi a Varsavia dal 26 al 30 marzo 2012. Ospitata dalla sezione polacca di cui Tomasz Miłkowski è presidente, questa intensiva sessione di studi e scambi intorno al teatro e alle sue peculiarità ha coinvolto rappresentanti (critici e ricercatori) da gran parte delle 69 nazioni associate. Un’occasione davvero unica per un confronto il cui altissimo livello non ha intaccato l’atmosfera familiare e la sincera informalità di un incontro di sguardi.
Nelle tre sessioni di convegno, accompagnate da due seminari per giovani critici diretti dal vice–presidente IATC Jean–Pierre Han (Francia, classe francofona) e il membro del Comitato Esecutivo IATC Mark Brown (Scozia, classe anglofona), è stato presentato un enorme numero di paper, andando a fondo nel tema proposto nei modi più disparati. Dell’elenco completo degli interventi (vedi sotto), non possiamo che limitarci a citare solo qualche esempio, ché se da un lato questo basta a offrire un quadro della straordinaria eterogeneità degli approcci, dall’altro risulta essere l’unica strategia, nel tentativo di dar conto di un congresso sicuramente ipertrofico, a cui è purtroppo mancato il tempo necessario per approfondire gli argomenti con commenti e domande.
Se volessimo racchiudere le varie letture della materia in uno schema, sarebbe esso suddiviso in quattro macro-aree: spazi, artisti, funzione e politica e identità. Ed è particolarmente significativo come dall’osservazione delle scelte operate dai vari paesi si possa individuare un preciso modo di intendere il vasto tema suggerito e, quasi per sillogismo, l’intero ragionamento attorno al teatro. Se ad esempio Magdalena Raszewska si occupa di attraversare, in maniera eccezionalmente accademica, l’evoluzione dello spazio teatrale in Polonia evidenziandone la dipartita dallo schema all’italiana, Jeffrey Eric Jenkins prende i teatri di Broadway a modello di uno spazio che potrebbe di per sé essere considerato un corpo spettacolare. Da Mumbai Reema Gehi racconta come un teatro multilingue come quello indiano stia sentendo il bisogno di riappropriarsi di spazi alternativi; Brent Meersman mette il fuoco sul concetto stesso di site-specific del teatro sudafricano, che torna con grande evidenza nel racconto di Jonathan Abarbanel intorno al lavoro itinerante della Redmoon Theatre Company e di Theatre-Hikes, che portano lo spettacolo direttamente nei parchi e per le strade. Strade (e tradizione) completamente agli antipodi di quelle nigeriane descritte da Emmanuel Samu Dandaura.
Anche il modo di centrare il discorso direttamente sul lavoro degli artisti si fa strumento per caratterizzare un paese, come la Romania, che attraverso la verticale di Ludmila Patlanjoglu, svela il lavoro del grande regista Silviu Purcarete; l’Ungheria dei Krétakör è raccontata da Tamas Jászay, che ne enfatizza l’aspetto specificamente connesso ai luoghi, soprattutto nel Crisis Project; di Luís Castro e della sua peculaire forma “perfinst” (a metà tra performance e installazione) si occupa invece la portoghese Maria Helena Serodio, mentre è curioso il resoconto offerto da Michel Vaïs dello spettacolo di Project Blanc, in cui l’intero spettacolo, itinerante in due sale di Montreal, è commentato dal regista, che parla in tempo reale agli spettatori muniti di radiocuffie.
C’è poi chi assegna al teatro una funzione specifica, come l’affascinante prospettiva esposta da Maria Säkö, secondo cui un’esperienza scenica vissuta al di là degli spazi convenzionali è in grado di apportare reali cambiamenti virtuosi nella quotidianità del fruitore, «dona al pubblico un nuovo tipo di consapevolezza nei confronti dei valori che lo circondano nella vita di tutti i giorni». Per la Bulgaria questa diventa quasi un’esigenza: per fronteggiare la situazione di grave austerità economica e reinventare nuovi modelli il teatro si crea – racconta Elena Peneva – nei luoghi della comunità, dai salotti alle strade. E quella stessa urgenza, corroborata dalla consapevolezza di un panorama finanziario e sociale più volte sull’orlo del collasso, rivive nel contributo del greco Savas Patsalidis il quale – con voce piana e seria, cassa di risonanza di una disarmante franchezza – riporta il teatro a un grido di unità, a una responsabilità fondamentale, un «evento pubblico, più critico, più cosciente di esserci, di essere presente. Un evento che, provocando una crisi nelle poetiche e nelle politiche della rappresentazione, radicalizza la visione in maniera più effettiva rispetto a ogni altra forma di comunicazione».
Di politica e identità, infine, hanno parlato – tra gli altri – Manabu Noda, che del teatro giapponese ha fotografato un momento di incertezza profonda, di terrore conseguente alle ultime catastrofi naturali; la Lettonia di Valda Čakare ha avuto ancora a che fare con l’identità nazionale, mentre la croata Sanja Nikčevic, intervenuta per ultima con un infuocato e caustico discorso, ha denunciato – in maniera forse imprudente ma volutamente provocatoria – la generale assenza di teatro politico in Europa.
Eppure non è anche questa politica? Può esserlo, dovrebbe esserlo, dovrebbe incarnarsi, tutto questo discorso, in un ragionamento culturale. Dovrebbe, stavolta sì, uscire dai confini della propria materia e riversarsi sul dato intellettuale ma soprattutto esperienziale, il contatto primario tra esseri umani che un evento come questo congresso dovrebbe servire a preservare. Un discorso che deve uscire da se stesso senza smarrire il proprio centro. Uscire fuori dagli spazi convenzionali. Non è forse questo a tenere viva la necessità di un movimento?
Sergio Lo Gatto
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26esimo Congresso dell’Associazione Internazionale Critici di Teatro. Varsavia 26-30 marzo 2012.
Elenco completo dei relatori e dei titoli degli interventi. [traduzione titoli: SLG]
I sessione [moderata da Don Rubin, Canada]
Magdalena Raszewska, Polonia – Il regista alle prese con lo spazio (il teatro all’italiana e la ricerca di nuove forme di palcoscenico)
YiJoung Noh, Corea – I teatranti coreani preferiscono il teatro
Maria Säkö, Finlandia – Le qualità rinforzanti e taumaturgiche del teatro oltre il teatro
Maria Helena Serodio, Portogallo – Saltare fuori dal palco: il concetto di “perfinst” secondo Luís Castro e il Progetto Karnart
Ludmila Patlanjoglu, Romania – Silviu Purcarete e l’Apolalisse del Noi
Magdalena Gołaczyńska, Polonia – Il teatro locale tra le rovine
Michel Vaïs, Canada Quebec – Oltre il teatro e nel cuore del teatro
Jeffrey Eric Jenkins, Usa – Broadway: lo spazio teatrale come spettacolo
II sessione [moderata da Ian Herbert, Inghilterra]
Jonathan Abarbanel, Usa – In scena per le strade di Chicago… e i suoi parchi
Emmanuel Samu Dandaura, Nigeria – Il teatro di strada in Nigeria
Reema Gehi, India – Esplorando gli spazi performativi alternativi a Mumbai
Margareta Sörenson, Svezia – Avere luogo
Robert Cohen, Usa – Un teatro mobile
Brent Meersman, Sud Africa – Il teatro site–specific
Savas Patsalidis, Grecia – Radicalizzare l’esperienza della visione
Manabu Noda, Giappone – C’è il disastro del 3/11 oltre il teatro? Il teatro post–3/11 in Giappone
Jacek Głomb, Polonia – Il teatro e la città
III sessione [moderata da Patricia Keeney, Canada]
Rasa Vasinauskaité, Lituania – Il bisogno di teatro del teatro
Elena Peneva, Bulgaria – Esci fuori a giocare
Akiko Tachiki, Giappone – Oltre il confine. La performance art come forum per pensieri alternativi
Tamas Jászay, Ungheria – Alla ricerca di uno spazio, o Tutto il mondo è un palcoscenico: il teatro site–specific nel lavoro di Krétakör
Larisa Turea, Moldavia – Sei attori in cerca di personaggi
Valda Čakare, Lettonia – Gli aspetti teatrali di un’identità nazionale
Dominika Łarionow, Polonia – Il posto dello spettatore nel teatro e fuori dal teatro
Sanja Nikčevic, Croazia – Globalizzazione e identità nazionale, o troviamo qualcosa di brutto a casa nostra!