Scrivendo dello spettacolo firmato da Alessandro D’Alatri in scena al Teatro India fino al 12 febbraio non si può prescindere dall‘opera cinematografica di Ingmar Bergman dalla quale la messinscena prende le mosse. Scene da un matrimonio, Svezia, 1973, così recita la locandina, vede due coniugi con più di dieci anni di matrimonio sulle spalle incappare in una crisi senza precedenti. L’abilità del regista romano (conosciuto maggiormente per il suo cinema, in teatro Il sorriso di Daphne e Diatriba d’amore contro un uomo seduto) è evidente nella struttura che all’opera teatrale riesce a conferire: la vicenda dei borghesi genitori di due bambini, Daniele Pecci e Federica Di Martino nei panni dei personaggi interpretati nella pellicola da Liv Ullmann e Erland Josephson, viene sospesa in una prigione coniugale senza scampo. Vengono tagliate scene e incontri che nel film si svolgono al di fuori delle mura domestiche, senza però corromperne l’andamento. Naturalmente l’ambientazione temporale e geografica è l’Italia a noi contemporanea, con qualche tiepido cenno ai mali che ci strangolano. I gelidi dialoghi di Bergman diventano nelle mani di D’Alatri fulminei e ironici scambi. È una coppia della middle/high class italiana affacciata al nuovo millennio, dunque lontana dai riverberi sessantottini di cui si nutrono alcune battute del film, eppure i moti dell’animo che agitano i due sono i medesimi di quasi quarant’anni prima: Giovanni e Marianna si riscoprono addormentati dalla vita perfetta che hanno costruito e, sebbene sia la donna a mostrare prima il fianco alla noia strisciante che sembra essersi infilata anche tra le lenzuola, è suo marito a gettare la maschera rivelando di essersi innamorato di una studentessa ventitreenne: il meccanismo si è dunque messo in moto e non si fermerà, solo nel finale la sua precisione dovrà fare i conti con quelle curve imprevedibili che la vita sa prendere.
Brillanti negli affondi ironici, equilibrati nella gestione del dolore e capaci di non mollare il ritmo, Pecci e Di Martino agitano i propri spiriti in una scena piena di mobili accatastati, ma coperti, tanto da far sembrare il palco vuoto. Lenzuola bianche che nascondono – oltre l’immediato riverbero simbolico del candore nuziale – tutta la polvere degli anni passati insieme. Alle parole e alle azioni degli attori viene lasciato il compito del racconto, unici orpelli extradiegetici con cui D’Alatri veste la propria frugale – ma puntuale e funzionale – regia sono le musiche per chitarra di Franco Mussida (Pfm) ad apertura di ogni scena e le didascalie proiettate sul pavimento del proscenio, ricami leggerissimi che quasi rimandano alla serialità televisiva per cui il progetto di Bergman era stato concepito ed evidenziano il passaggio del tempo con cui vengono bruciate le tappe della vita, un cerino che si spegne per poi rianimarsi di impavido fuoco.
Quello che manca alla forma teatrale è relativo alla percezione del pubblico rispetto all’oggetto artistico: Bergman proponeva al cinema il fallimento della “versione classica” di famiglia, metteva l’istinto davanti alla ragione e applicava alla coppia quella libertà del corpo sbandierata proprio dai movimenti dell’epoca; questa forza deflagrante oggi riduce notevolmente la propria portata. La storia di Marianna e Giovanni è quella di tante coppie, non è più la santa famiglia a imbrigliarci, la campana di vetro nella quale rischiamo di chiuderci non è solo famigliare, ma è sociale. Nella apparente semplicità dei suoi contenuti, questo racconto di Bergman – e dunque anche la forma teatrale ideata da D’Alatri – si fa preziosa metafora capace di racchiudere un mondo tutt’altro che autoreferenziale e, attraverso la relazione amorosa, è proprio l’uomo contemporaneo con le sue spigolosità, gli egoismi esasperati, l’incontentabilità e l’eterna dipendenza sessuale a raccontarsi.
Andrea Pocosgnich
in scena fino al 12 febbraio 2012
Teatro India [cartellone]
Roma
Scene da un matrimonio
di Ingmar Bergman
adattamento e regia Alessandro D’Alatri
con Daniele Pecci e Federica Di Martino
musiche originali Franco Mussida
produzione Teatro Stabile d’Abruzzo
orari spettacolo
ore 21.00
4 e 5 febbraio ore 19.00
12 febbraio ore 18.00