Tre buoni amici, come dire un piccolo branco di bestie. Da questa immagine di partenza muove l’idea di Art, testo del 1994 con cui la francese Yasmina Reza era approdata al successo internazionale. Ora è riproposto al Teatro Eliseo in una versione estremamente glamour per la regia di Giampiero Solari e un cast di star d’eccezione: Alessio Boni, Gigio Alberti e Alessandro Haber. Nell’agile testo di Reza interpretano tre amici di vecchia data, rampolli di una borghesia parigina tutta carriera, psicanalisi e gusti radical chic. Serge (Boni), dermatologo di successo che fa di tutto per diventare un esperto d’arte contemporanea, acquista per la bellezza di 200.000 euro un quadro completamente bianco; Marc (Alberti), caustico ingegnere aeronautico, si fa beffe di lui e del suo acquisto che giudica “una merda bianca”. Il conflitto dei due, uno piccato nell’orgoglio l’altro deciso a dimostrare come quell’acquisto sia simbolo di stupidità e aridimento, coinvolge Yvan (Haber), ex commerciante di tessuti ora caduto in rovina, che un imminente matrimonio renderà erede di una squallida cartoleria.
La macchina drammaturgica si muove con il ritmo della parabola didattica, in cui i tre caratteri, punzecchiati da un futile pretesto – un accidente, si definirebbe nella commedia classica – si tramutano in simboli di tre diverse derive del comportamento. Tra esaurimenti nervosi, bieche recriminazioni e confessioni scomode che fanno emergere perfidia, invidia e individualismi, verrà messa a repentaglio una ventennale amicizia. Agevolata da uno scoppiettante botta e risposta, che deve molto anche al “cinema di interni” di tradizione francese e americana e resa fluida dall’irresistibile interpretazione di tre attori potenti, la dinamica della commedia prende forza con il passare dei minuti. La dimensione goliardica dell’amicizia maschile, che secoli di letteratura e strutture culturali hanno innalzato a piccolo totem della società evoluta, si immagina come una sorta di “Paradiso terrestre dove ognuno ritrova se stesso”, si legge nelle note. E questo mito verrà smontato grazie a un affresco delle meschinità e delle debolezze umane, posto a fianco a un sottile breviario delle pulsioni animali, tra le quali una in particolare viene evidenziata: l’orgoglio.
Dall’urgenza di autoaffermazione deriva la spinta a una progressione inesorabile che porta alla decadenza. Il senso pur forte di questa parabola, declinata sul tono tragicomico e che comunque poggia molto sulle solide spalle del trio di interpreti, non riesce tuttavia a scavalcare i mezzi drammatici e a diventare un messaggio da portare a casa, non riesce a rompere davvero quella barriera di irraggiungibilità che protegge la mentalità borghese. Lo scopo di un teatro, appunto, borghese, dovrebbe infatti essere quello di sradicare il nucleo di un pensiero debole, mirando ad annullare ogni forma di segreta indulgenza che ad esso ci lega. E forse un’operazione drammaturgica così accattivante, che non lascia spazio a un vero disagio per lo spettatore (che era una forza nel recente Il ritorno di Cruciani), rischia di creare ostacoli a questa missione, portandola a smarrirsi in una frivolezza di fondo.
Il rischio del testo di Yasmina Reza, osannata ormai da critica e pubblico, appunto, borghese, è dunque quello di nutrire (a volte inconsapevolmente?) quello stesso demone che vorrebbe sconfiggere. La messinscena di Solari non ha tuttavia colpe reali, scorre su binari ben oliati e lascia spazio alle belle energie di chi abita la scena, ironicamente ricalcata da Gianni Carluccio intorno agli stilemi di quell’arte contemporanea così amorfa, consolatoria nella sua tecnologia essenziale (tre vasi di fiori di diverso colore a richiamare la differenza tra i tre caratteri e pannelli bianchi che scorrono a sfalsare e cancellare i piani). E a salvare del tutto la serata, sconfiggendo anche quel senso di frivolezza, è la chiosa post-spettacolo, in cui i tre attori illustrano un’iniziativa di beneficenza in favore del CESVI e della Linea Verde Alzheimer e mettono all’asta il discusso quadro bianco. Peccato non avere in tasca quei ventimila euro in più.
Sergio Lo Gatto
al Teatro Eliseo di Roma
20 dicembre 2011 – 15 gennaio 2012
ART
di Yasmina Reza
traduzione Alessandra Serra
scene Gianni Carluccio
luci Marcello Iazzetti
costumi Nicoletta Ceccolini
regia Giampiero Solari
produzione Nuovo Teatro / Gli Ipocriti