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Dell’arte della politica, della verità dell’arte. Il Pinter di Belarus Free Theatre

Being Harold Pinter - Belarus Free Theatre
Being Harold Pinter – Belarus Free Theatre

Si fa un gran parlare di crisi di valori, di decadenza culturale, di istituzioni che privano i cittadini delle risorse per portare a termine un progetto artistico o un progetto di ricerca. E ci si indigna, ci si schiera, ci si accanisce contro il principio stesso, sentendosi stretti in una gabbia di impossibilità. Ma per quanto riguarda il mondo occidentale, nella maggior parte dei casi si parla di impedimenti di carattere strettamente economico. È vero, la politica ci mette del suo, atrofizzando l’interesse nei confronti dell’educazione e delle urgenze espressive, ma è una politica dal fulcro finanziario. Nonostante questo, ci capita spesso di lamentare una mancata libertà. Libertà. Siamo convinti di conoscere bene il significato di questa parola. Eppure non è così.

La Prospettiva torinese ha ospitato una delle realtà artistiche più uniche di questo momento storico, dei veri “stranieri in patria”. Nato nel 2005, Belarus Free Theatre è un gruppo teatrale bielorusso impegnato in una strenua lotta intellettuale contro il regime di repressione culturale del presidente Alexander Lukashenko, l’unico ad essere tuttora in vita dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Stampa e prodotti artistici di questo paese dell’Est sono letteralmente “posseduti” e quindi controllati dal governo, che su di essi applica una ferrea censura. Di loro avevamo già parlato qui.
Being Harold Pinter mette insieme alcune brevi pièce dell’autore inglese e stralci del famoso discorso da lui tenuto a Stoccolma in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura nel 2005. Il testo aveva debuttato nel 2007 a Leeds in occasione della conferenza Artist and Citizen: 50 Years of Performing Pinter, in cui Pinter stesso era intervenuto nel dibattito post-spettacolo e che in qualche modo aveva segnato la svolta internazionale per BFT, portato all’attenzione di tutto l’Occidente come una delle emergenze culturali più gravi e al contempo vive di oggi.
Al momento dell’assegnazione del Premio Nobel, Pinter era già malato e impossibilitato a un viaggio di rappresentanza. I 46 minuti di discorso vennero da lui registrati in uno studio di Channel 4 a Londra con il titolo Arte, Verità e Politica (leggi qui il discorso integrale in inglese) e poi proiettati su un maxischermo a Stoccolma. In quelle parole c’è tutto il teatro di Pinter, troppo spesso e troppo a lungo adorato e promosso come un teatro delle emozioni, un teatro psicologico, un teatro privato e invece da quelle parole rivendicato con forza come teatro strettamente politico. Il drammaturgo ripercorre alcuni dei temi affrontati nei propri lavori, presenta lo straordinario processo creativo dello scrittore come fosse l’effetto inaspettato di un muscolo involontario, la pulsione primaria di un’istanza, quella di produrre verità.

BFT usa mezzi semplici e puliti. La scena è un quadrato bianco delimitato, ai quattro angoli, da piccoli sgabelli; sul fondale è appeso, diviso in due metà il primo piano degli occhi di Pinter, che esercita una funzione non troppo lontana a quella, aspramente discussa, del Cristo di Antonello da Messina installato da Castellucci nel suo Concetto di volto. Il discorso del grande scrittore viene tramutato in un flusso di coscienza, tra le sue spire si dipana la forza dirompente dei personaggi, la rarefazione delle atmosfere, il filo dilaniante delle battute, il tutto enfatizzato dall’essenzialità di scenografia e interpretazione, mai alla ricerca della sensazione, sempre osservante un grande distacco.

Per quanto negli ultimi anni la comunità intellettuale internazionale si sia apertamente schierata a favore della compagnia e molte, in tutto il mondo, siano le mobilitazioni e le proteste, ad oggi il gruppo vive e lavora in totale clandestinità. Se le prime performance si svolgevano in case private, sotterranei e nei fitti boschi dei dintorni di Minsk, ora gli spettacoli di BFT vengono ospitati anche in grandi teatri europei. I tempi delle irruzioni armate della polizia e degli arresti di gruppo sembrano lontani e le ultime notizie, diffuse da loro in persona durante un incontro pubblico all’indomani della performance torinese, sono confortanti. La richiesta di asilo politico inoltrata al governo britannico, in via di approvazione, avrà come primo riverbero la partecipazione della compagnia alle attività culturali programmate durante le prossime Olimpiadi di Londra 2012: il loro Re Lear sarà uno dei 37 spettacoli prodotti per il Globe Theatre in 37 lingue diverse. E avremo modo di vederli anche a Roma dove, ospiti dell’Università La Sapienza, saranno impegnati nella produzione di un nuovo spettacolo.
A chi non conoscesse affatto il drammaturgo inglese, Being Harold Pinter offrirebbe una toccante dimostrazione della sua grandezza; eppure la punta aguzza di questo spettacolo colpisce altrove, mira più in alto. I tre concetti dichiarati nel titolo del discorso, arte, verità e politica, si alzano come monoliti sacri a testimoniare il paradigma della compagnia bielorussa, stendardi di quello straordinario e terribile fenomeno che è la sottrazione di libertà. Allora lo spettacolo acquista un senso reale (in ogni senso di questo termine) quando in mezzo al ragionamento di Pinter, tutto sommato riverberante – mi si perdoni per questo – di una oziosità intellettuale borghese confezionata ad arte per la platea svedese, esplode la violenza della cronaca: arrivando direttamente da un momento amaramente ironico, quasi comico (Il linguaggio della montagna) ci si ritrova alla sola luce delle torce, puntate su volti incappucciati che dividono, come in frammenti di incubo, i particolari biografici delle vittime della repressione. Le ultime parole del discorso del Nobel suonano così (traduzione mia): “Quando guardiamo in uno specchio pensiamo che l’immagine che esso restituisce sia accurata. Ma muoviamoci di un millimetro e l’immagine cambierà. Stiamo effettivamente guardando un numero infinito di riflessi. Ma a volte uno scrittore deve rompere lo specchio – perché è dall’altra parte di quello specchio che la verità ci guarda. Io credo che nonostante tutte le diversità che ci separano, un’indomita, costante, ardente determinazione intellettuale, come cittadini, a definire la reale verità delle nostre vite e delle nostre società sia un dovere cruciale che spetta a tutti noi. È effettivamente obbligatorio. Se tale determinazione non è insita nella nostra visione politica non abbiamo alcuna speranza di riaffermare ciò che siamo così vicini a perdere – la dignità dell’uomo”.

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BEING HAROLD PINTER
da testi di Harold Pinter
adattamento e regia Vladimir Shcherban
con Nikolai Khalezin, Pavel Gorodnitski, Yana Rusakevich, oleg sidorchik, Irina Yaroshevich, Denis Tarasenko, Marina Yurevich
Belarus free theatre production (Bielorussia)

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