In questi festival c’è un momento estremamente vitale, imperdibile, che rinnova il senso dell’antica convivialità e ne restituisce il lontano valore di confronto come di confutazione. A quell’ora del mattino a colazione nell’Istituto Scalabrini di missionari per gli emigrati – alloggio straordinariamente promiscuo (artisti, critici, operatori…) di risate e notturne guerre acquatiche senza esclusione di colpi né rispetto di ruoli morti da tempo – scopriamo che gli emigrati siamo noi questi giorni, esuli dalle nostre vite solitarie giunti qui per condividerle con il pretesto del teatro, mai pretesto fu più opportuno dell’arte; lo sforzo più grande è cercare un angolino di gruppo in cui sedersi e cercare in quello del dirimpettaio il proprio sguardo ancora assonnato. Ogni mattina m’accorgo però che, dopo giorni, si svolge qui il primo vigoroso scambio di opinioni freschissime a dispetto degli occhi ancora socchiusi; ogni giorno si misurano i toni ancora bassi della voce nell’eloquenza che li andrà a sciogliere pian piano.
Questa mattina del quinto giorno di B.Motion 2011 inizia come le altre. Ho scoperto da internet appena sveglio che il caffè al mattino non rende più svegli di chi non lo prende, è solo un fattore psicologico; questa mattina allora non lo prendo e ne faccio a meno, raggrumando pensieri sparsi sui cuscini appena sfiorati (perché a far tardi la notte nessuno dorme al tuo posto…) e ammirando le sculture di carta da tovagliolo che il custode della sala si diverte a fare da molti anni, per accoglienza ai suoi ospiti. Dalla sua sedia laterale, intento ad avvolgere la fragilità di carta a veli dandole una forza di erezione che non ha, ascolta senza ascoltare i nostri discorsi in via di cercarsi un concetto affilato, tenuto in vista nonostante gli occhiali scuri a coprire lo sguardo di chi, la sera prima sul palco di Grimmless di ricci/forte, ha lasciato milioni di energie (per riaverle indietro dal pubblico). Il nostro custode silenzioso intona una piccola nenia appena percepibile, delinea i nostri pensieri lungo un percorso acquietato che presto ci culla e dal bozzolo ci dischiude.
Questa mattina si parla di coraggio ed è un tema particolarmente vivo: nei giorni scorsi nelle stesse sale e in queste pagine si sottolineava quanto fosse opportuna l’idea di concedere una tappa ai ragazzi di Scenario 2011, selezionati o meno (e qualcuno, come Antonino Varvarà di Marghera, ha proposto loro di portare nel suo teatro Aurora i debutti a scatola chiusa, senza averli ancora visti); ieri se ne parlava anche incontrando di nuovo alcuni dei ragazzi, le certezze che hanno trovato sconfitte alla fine di questi giorni, altre che da dubbi si stanno pian piano definendo a nuova vita: la necessità di una caduta senza rete non potrà che restituire loro la forza originaria del talento che li ha spinti fin qui. Ma è coraggio anche portare in scena, come accaduto ieri, una compagnia come Colectivo TBT con Danzica – in arrivo da Padova e quindi dal territorio circostante – scegliendo cioè un lavoro non propriamente legato agli ambienti del contemporaneo, ma utilissima testa d’ariete per buttar giù le porte di chi a teatro non va mai. Questo è coraggio.
Questa mattina è una mattina tra le tante. E anche oggi tra un succo di frutta che non arriva mai e in vaschettina la marmellata di ciliegie, abbiamo iniziato in ricavo questa giornata. L’importanza di certi momenti è destabilizzante nel momento in cui ti accorgi che sta accadendo. E tu ci sei. Il custode ha finito le sue sculture, continua ad intonare la sua nenia silente. Nessuno tra di noi artisti, critici, frequentatori delle arti ha coraggio di contrastare la forza inarrivabile della sua genuinità. Non più caffè la mattina. È ben altro a svegliarci.
Simone Nebbia
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Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Il Tamburo di Kattrin