Siamo abituati a percepire la quotidianità in un disegno di ovattate presenza familiari, ritrovamenti della propria intimità che leniscano le sporgenze del mondo di fuori, quelle ombre di ruggine che rendono ruvide le superfici; ma proprio a ben guardare, l’epoca contemporanea ha scoperto invece un seme di violenza nucleare che la vita quotidiana non nasconde agli uomini, nutriti di bieca crudeltà e di viziosa condiscendenza alle inclinazioni di puro egoismo, in cui la famiglia non è che microcosmo esplosivo di un’umanità degradata e oscena. Questo sentimento è negli Idoli di Carrozzeria Orfeo, drammaturgia di Gabriele De Luca, alla regia con Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi, anche interpreti insieme a Giulia Maulucci e Valentina Picello.
De Luca è autore di un buon testo messo in una scena di situazione, fresco e capace di trarre dai dialoghi un realismo efficace con estrema naturalezza e discreto ritmo, tra le pieghe di personaggi delineati da un tratto leggero e immediato, interpretati da attori in forma (De Luca stesso e la Picello su tutti). All’inizio vediamo un uomo e una donna alle prese con quello che forse non è neppure un litigio, ma il naturale effetto di una dinamica di coppia in cui si conosce ormai il modo di mettersi a nudo a vicenda, senza che nemmeno il pudore verso quella nudità sia sufficiente a contrastare l’impulso di farsi del male. Un interno familiare stende poi da subito un velo di efferatezza sopra la godibilità della composizione, un nucleo (padre-madre-figlio-fidanzata-nonno) in cui le connessioni fra i componenti soffrono tutte quelle piccole perversioni rintracciate dal filosofo Umberto Galimberti ne I vizi capitali e i nuovi vizi: sociopatia, spudoratezza, conformismo, consumismo, sassomania, nichilismo, culto del vuoto. Nei loro discorsi il sesso, il denaro, l’insofferenza verso gli altri, la mostra di sé entrano come un ago finissimo che inietta senza che ci si accorga; tutto sembra normale ma il fluido si propaga e affonda proprio nella vita quotidiana. Qualche appunto invece c’è da fare a una ricerca interpretativa alcune volte un po’ caricata di esaltazione macchiettistica e qualche difetto di chiarezza nella parte finale, che sconta un caos eccessivo a rischio della limpida comprensione.
Umberto Galimberti scrive che proprio nei vizi piuttosto che nelle virtù è possibile scorgere con maggiore lucidità la volontà umana, la direzione cui tende l’uomo e di questi le inclinazioni; in questo modo la morale si colora di tinte cupe e invade il campo della patologia. Da questo spunto Carrozzeria Orfeo concepisce uno spettacolo che non mira a mettere in scena l’assunto, ma lo tiene fermamente presente per comporre un’opera pienamente teatrale, calata sulla scena per rappresentare e non per velare il senso di un’affermazione, riuscendo in un intento popolare che tiene duro e non cede alla banale retorica. Questo valore ne fa uno spettacolo che nella semplicità tiene in mira un obiettivo complesso, che innesca un buon compromesso fra riflessione e partecipazione, consigliabile a cuor leggero perché adatto a un pubblico trasversale e quindi che rispetta con piena coscienza le esigenze di quest’epoca contemporanea, ricca di interesse e volontà di conoscenza anche oltre il continuo arroccamento di molta arte, ancora così chiusa in se stessa.
Simone Nebbia
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Ieri sera all’Out Off a Milano la prima. C’era anche Galimberti.
Bravi davvero. Storia semplice, ma una buona struttura narrativa, efficace. Di filosofia ce n’è poca, ma di buona rappresentazione sì. Forse un po’ scisse dal resto le due scene di movimento (quella iniziale e quella delle sedie a rotelle).