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Con Lavia e Cutaia per un modello di gestione del Valle: ma è con loro che si deve parlare?

Nelle stanze della Torre di Babele, dove le lingue si confondono e la discordia si fa sovrana, quando si entra da fuori se ne resta contagiati. Non tanto perché la discordia non sia produttiva, quanto perché la confusione è generatrice di consenso e dissenso, smettendo di focalizzare gli obiettivi principali e ineludibili. All’ingresso di Ninni Cutaia – ex direttore generale dell’ETI – e di Gabriele Lavia direttore del Teatro di Roma, la platea brulica di lingue anche già morte e sepolte e inizia a raffinare la sua percezione dell’evento che sta per iniziare: la grande assemblea pubblica per un’idea di gestione del Teatro Valle. La sala gremita, si dice, l’attenzione massima anche fra chi organizza e gestisce, che viene anche orrendamente accusato di personalismo, e dico orrendamente senza mezzi termini, perché qui c’è gente che sta rischiando e si sta esponendo alla responsabilità di una lotta e della manutenzione di un luogo. Ingenuo è pensare che non ci si debba dare una struttura, che qualcuno richiama alla Fattoria di Orwell con troppa facilità.

L’introduzione dell’assemblea indica i punti programmatici dei modelli di gestione che la stessa assemblea ha iniziato a focalizzare: vocazione alla drammaturgia, in primo luogo testuale, che è un grande rimosso italiano dell’arte teatrale, bando non di gestione ma di direzione artistica, su progetto, in una struttura che resti pubblica e garantisca finanziariamente l’accessibilità, regole chiare e trasparenti delle competenze e delle scelte; a questo s’è aggiunto un focus sui modelli esteri a proposito di centri di drammaturgia (Royal Court su tutti) e un quadro rigoroso di cosa manca senza più l’Ente Nazionale: oltre alla drammaturgia, s’è detto dell’apporto alle nuove creatività, alla danza contemporanea, della connettività tra le regioni, della vetrina internazionale, dell’investimento sul teatro infanzia.

Si prova in ogni modo a tenere i punti, ma la presenza di due protagonisti informati sui fatti, tali da essere molto utili alla discussione, inevitabilmente cura la rotta di navigazione; così, mentre Ninni Cutaia si avvale del forzato mancato ruolo attuale e può riferirsi al passato, in un luogo cioè entro cui tutto è vero ma si chiama storia (la gestione fulgida del Valle degli ultimi anni, dice, era un viatico per mettere in circolo produttivo anche più del 35% già recuperato ai costi fissi, arrivando al 60% dal 95% precedente) e soprattutto, proprio in assenza di ruolo, non è chiamato a risposte concrete, Gabriele Lavia invece, coraggioso a tornare per intervenire dopo l’accoglienza di qualche sera prima, non può sfuggire da domande incisive e chiare; dalle domande non può, ma riesce a sfuggire dalle risposte, in parte perché molte cose sono in via di definizione e lo sappiamo, in parte per abilità retorica, soltanto alla fine – incalzato – dichiara che per suo conto il bando (rivolto a chi ha soldi, quindi ai privati, come ha dichiarato anche il ministro Galan e Montezemolo a nome degli imprenditori) non dovrebbe farsi e che la giusta gestione sarebbe affidarlo al Teatro di Roma. Sul fatto che questo lo chiamerebbe all’ennesimo ruolo che non può svolgere perché impegnato in produzioni regie e ruoli artistici, pur dichiarandosi d’accordo con il cambiamento di questo sistema, di certo ha detto che non ha intenzione di dimettersi, quindi del suo accordo dichiarando anche il contrario.

Dall’assemblea si esce provati, scossi da buone proposte e ingenuità, equamente distribuite. La vera sfida è sulla distanza tra pubblico e privato, qui il futuro del Valle e della cultura nazionale: questo luogo, la nostra identità e dignità culturale e del teatro d’arte, che ha dato più di un nobel per la letteratura, dipendono da giochi che ci riguardano sempre meno, anche nella strenua resistenza di occupanti, e riguardano poco anche i vari Cutaia, Lavia, Martone, Rodano intervenuti: la gestione li coinvolge per nomine ed esercizio postumo, quando tutti i giochi sono decisi. Dino Gasperini, assessore alle politiche culturali del Comune di Roma: è lui qui il croupier a dare il mazzo di carte di questa partita. Speriamo che, almeno stavolta, non siano truccate.

Simone Nebbia

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Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Il Tamburo di Kattrin

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