Hai sempre pensato che tra il teatro e l’arte culinaria ci fosse un collegamento primordiale. Ché tutto quel disseminare segni in giro per la scena somiglia così tanto al fondersi degli ingredienti in una buona ricetta. Per una volta sembra che tu non sia il solo a pensarlo. Così recita una battuta del Don Chisciotte di Antonio Latella, andato in scena al Teatro India, che nel finale di stagione spara le sue cartucce migliori: “La drammaturgia è una lasagna”. Si costruisce uno strato alla volta, farcendo i vari piani con quegli ingredienti che rendono saporita una storia. Senza esagerare, però. Soprattutto quando la materia prima – la sfoglia, ci verrebbe da dire – è già sufficientemente densa, un bravo chef deve fare attenzione. Il rischio è che, coricandosi, la pietanza resti sullo stomaco.
Uscendo dopo due ore di Don Chisciotte hai la sensazione che Latella abbia voluto giocare proprio con questo rischio, dimostrando di essere comunque in grado di mantenere il controllo. La regia a vista a un lato del palco, le luci di sala quasi sempre accese, in modo che i due attori (straordinari Francesco Manetti e Stefano Laguni) non disperdano mai lo sguardo, inchiodino la percezione del pubblico. Ti accolgono versi in inglese che hanno il tono ipnotico di un mantra, mentre sulla scena i due, in pigiama e pantofole, vagano sciabattando con il ritmo dei sonnambuli (Can death be dream?, Può la morte essere sogno?). Questa immagine intona da subito l’accordo. Davanti agli occhi loro e del pubblico si spiegherà un viaggio onirico alla ricerca di quel sottile stato di dormiveglia della ragione che fa scappar da ridere di fronte a una tragedia.
Questo Don Chisciotte è il paradigma della contraddizione, anima segata a metà tra il desiderio seducente di essere nobile e la pulsione incontrollabile di conservare una trivialità. È un poema del doppio, in cui la somma di due presenze compone un ultra-riflessione sul tempo irripetibile della poesia. Il tempo e soprattutto lo spazio. In una lunga prima parte che quasi sa di clownerie Francesco e Stefano (questi nomi i due conservano in scena per tutta la prima parte) si passano impercettibilmente un testimone: i ruoli di Chischiotte e Sancho Panza ondeggiano dall’uno all’altro attore come gocce di mercurio, fino a stabilizzarsi in una distribuzione che è del tutto casuale. Non improvvisata, ma casuale. Come casuale è il corso dell’immaginazione, di quelle associazioni di senso per immagini e parole che Latella rende bene con l’uso dei libri pop-up (efficaci da un punto di vista concettuale come di resa scenica).
Le “imprese” di Don Chisciotte diventano qui il delirio di due vecchi bambini, un viaggio senza alcun freno d’inibizione, briglia sciolte tra leggerezza e perdizione, in cui solo in ultima istanza e con una serietà disarmante si distingue la materia fondamentale che separa Sancho da Chisciotte: la coscienza. Uno è la razionalità dell’altro. Due monologhi rivelatori spaccano la figura doppia in due metà incomplete. Quei libri che fecero impazzire Don Chisciotte diventano un percorso di fortuna su cui camminare in bilico, un’eresia da annientare, ma anche la zavorra che impedisce all’immaginazione di spiccare l’ultimo volo.
La “lasagna” preparata dal drammaturgo Federico Bellini è davvero molto ricca, il suo sapore conquista. Il servizio di Latella è come al solito di livello altissimo, guarnito di un fiume incontenibile di idee. Se c’è una debolezza sta nell’indugiare troppo in certi autocompiacimenti meta-teatrali (una lunga prima parte divertente ma forse non del tutto necessaria), soprattutto quando la materia di riflessione e suggestione è viva e presente. Ma il lavoro dei due attori, nel loro continuo ondeggiare tra un qui/ora e un altrove/chissà quando è una lezione di “stare”, guidata dal regista con una creatività esemplare, esplosione incontrollabile di poesia. E “la poesia non si tocca”.
Sergio Lo Gatto
in scena dal 4 al 12 giugno 2011
Teatro India [vai al programma 2010/2011]
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DON CHISCIOTTE
regia Antonio Latella
drammaturgia Federico Bellini
disegno luci Giorgio Cervesi Ripa
realizzazione scena Clelio Alfinito
realizzazione costumi Cinzia Virguti
con Francesco Manetti e Stefano Laguni