È passato poco tempo, neanche un’ora, dalla fine dei tre movimenti che compongono La trilogia degli occhiali di Emma Dante, eppure nonostante la freschezza dell’esperienza, la penuria del ricordo mi scuote e l’inconsistenza della memoria m’impone riflessione: l’artista del segno vivo, della violenta emozione, della ferita insieme morte e vita che dalla scena scivola fino alla platea, ha lasciato la barca di questa navigazione impervia, incagliata sulla sabbia impoverita e muta di una rotta la cui bussola pare essersi inceppata. Dalla fine dello spettacolo a ora cerco di rintracciare uno stimolo che vada oltre la nota divertente che l’intenzione scenica pure si porta con sé, alla ricerca di qualcosa su cui potersi mettere alla prova, ma non riesco a non rispondermi che la Dante sia ormai ferma su quell’arenile senza la criticità del vento che faccia andare la barca, chiusa in una rotta sistematica e non più aperta a sorprendere, intraprendere, conquistare e scoprire insieme, rendere cioè vivo il viaggio e concedere quel vigore pulsante all’emozione di spettatore.
La verità – lungi dal considerarla di tutti, a malapena di chi parla – è che la Dante sembra vittima di un’estetica inviluppata, divenuta la conservazione della ricerca, vittima della caduta retorica in una testualità sterile che non evolve i suoi personaggi (come anche Le Pulle) ma li lascia girare in questa struttura di poco spessore e assente di profondità, in cui la “cosa da dire” è didascalia del già noto, come qui il caso dei tre movimenti: Acquasanta è un omaggio al mare che non dice più di tutta la storia della letteratura, da Conrad a Baricco, Il castello della Zisa è un’esercitazione circense che funziona per la sola tecnica, il terzo, Ballarini (forse il migliore), è un racconto esistenziale ciclico, dalla vecchiaia alla giovinezza, settore che tutte le arti hanno già indagato ampiamente; insomma sembra trattarsi di un imprevedibile “imparrucchimento” sui generis, di chi le parrucche le aveva sempre tenute nel cassetto serrato appunto della scelta critica, dialettica, in pieno movimento di sensibilità e urgenza intellettuale, mentre ora s’è ridotta a spettacoli piccoli e ridenti di sé, in fondo delicati e giocosi, divertendo i suoi bravi attori dentro musichine pop riconoscibilissime e accattivanti (scelta già dell’ultimo Anastasia, Genoveffa e Cenerentola), in una recitazione frenetica e acrobatica che è per un attore come portare un bambino al luna park, ma è una scelta di povertà rispetto all’esistente, non ponendolo in discussione ma soltanto sottolineandolo con un segno pastello, lei che di colori aveva saputo usarne di indelebili.
Un valore invece ineludibile è il mestiere della regia proprio sugli attori e sugli oggetti, che la Dante conosce a perfezione e che finalmente permette di dire quanto ci voglia poco – di mezzi, non di idee – per mettere in scena qualcosa con una carica di densità formale, sia pure con le già dichiarate inconsistenze di contenuto; questo torna lampante e urgente in un periodo in cui troppi artisti lamentano la mancanza di fondi e mezzi tecnici per giustificare il tocco latente di una qualità in sordina, o anche per nulla espressa: non sono i mezzi a fare il tocco e artisti simili ne danno assoluta chiarezza.
Ma resta un dispiacere ugualmente, in fondo a tutto, per questa serata che poteva essere e non è, perché l’artista avrebbe tutte le qualità dimostrate nei suoi anni migliori, forse attende di avere ancora qualcosa da dire e intanto sviluppa esercizi di stile, forse, oppure davvero la barca va solo a motore e la sapienza del vento è potere soltanto di pochi marinai, profondi quanto il mare largo che – da loro sì – si lascia, docilmente, attraversare.
Simone Nebbia
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in scena dal 9 a 27 marzo 2011
Teatro Palladium [vai al programma 2011]
Roma
LA TRILOGIA DEGLI OCCHIALI
Testo e Regia Emma Dante
Con Carmine Maringola, Claudia Benassi, Stéphanie Taillandier, Onofrio Zummo, Elena Borgogni, Sabino Civilleri
Scene Emma Dante, Carmine Maringola
Costumi Emma Dante
Disegno Luci Cristina Fresia
Co-produzione Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Stabile di Napoli, CRT Centro di Ricerca per il Teatro
Con la collaborazione di Théâtre du Rond Point – Parigi
Coordinamento produzione/Distribuzione Fanny Bouquerel/Amunì
finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di dire qualcosa di vero sul declino di emma dante, evidentissimo in questo spettacolo. Finanche troppo generoso il riconoscimento della maestria registica nella povertà di mezzi. Povertà di mezzi? una produzione italofrancese di due grandissimi stabili, altro che. Il che semmai fa accresce ancor di più il dispiacere, con tanta abbondanza di mezzi (il che non è garanzia di niente, certo..) ma che pochezza di risultati!
Ho visto quasi tutti gli spettacoli di Emma Dante. Ho letto i libri scritti da lei e sul suo teatro. Non mi sono mai trovata d’accordo con l’esaltazione critica della sua produzione, né come autrice di testi per il teatro, né come regista, né come autore-artista tout-court. La trilogia degli occhiali non è una inversione di rotta e un un imprevedibile “imparrucchimento”, come scrive Simone Nebbia, è se mai la riproposta del suo mondo teatrale in forme più manierate. Le ragioni del successo di pubblico del suo teatro ( ma non dovrebbe essere lo stesso per la critica) risiede, nel tema sempre attraente della sicilianità, con i suoi clichè (famiglia, donna, religione, mafia, violenza ) mescolato con i cliché del teatro cosiddetto post-drammatico: situazioni al posto delle storie e linguaggio del corpo ; il tutto decorato con un uso patetico della musica in funzione di un titillamento dello spettatore e un ammiccamento verso un dialetto che non è né dialetto, né lingua poetica . Pensiamo all’uso della lingua di un autore (di Palermo), come Franco Scaldati. Pensiamo a cinico Tv di Daniele Ciprì e Franco Maresco, solo per offrire due esempi di sicilianità non affetti da clichè ( e per questo , forse, censurati in tutti i sensi). Emma Dante e il suo teatro rappresentano la pseudo radicalità (di temi e di linguaggi, di drammaturgia e divisione del mondo) del nostro tempo che scambia per “estetica dirompente” la capacità di mescolare materie ormai consunte.
Ringrazio chi ha commentato con questo spirito propositivo.
Francesco, non avrei parlato di povertà di mezzi in quel senso, mi interessava mettere in luce il fatto di saper utilizzare pochi elementi sulla scena, pur avendo tanto in termini di investimento, questo è chiaro.
Valentina Valentini, con onore ricevo un tuo commento: apprezzo e in fondo tendo ormai con un declinare responsabile verso queste stesse valutazioni, ma mi sento d’aggiungere che il clichè, se utilizzato a fini dialettici, può ancora offrire delle opportunità. Questo chiaramente con la Dante non accade, ma pare anzi essere avallato oltre i limiti della condiscendenza. Grazie di questo spunto.