Semenze. Quando un contadino le getta nei campi non sa dove il seme s’andrà ad impiantare, così se ne libera a pioggia, lasciando alla natura di fare il suo corso e scegliere il frammento di terra in cui iniziare una nuova rigogliosa esistenza. Ma se il contadino sceglie di allargare le opportunità, di sperimentare nuove coltivazioni su nuovi terreni di dubbia fecondità, ecco che alla bontà della sua ricerca funzionale, si unisce il rischio fondato che un certo seme in un certo terreno, non dia i frutti sperati. Dello stesso coraggio e rischio è fatto questo Le Elefantesse, nuovo spettacolo di Teatro Forsennato, ideato e diretto da Dario Aggioli, in scena Elisa Carucci, Carla Damen, Alessandra Della Guardia.
Tre donne, diverse per classe e natura, e un uomo, uno per ciascuna a loro giudizio, uno per tutte e tutte per uno, alla luce dei fatti: un trigamo che divide la propria vita nel suo harem dislocato, tre in uno come un detersivo, maschio ammorbidente, smacchiante, profumante, che monda le loro vite della necessità che si portano in grembo: Sandrina vuole un marito in famiglia, Judith vuole un giocattolo umano, Caterina vuole condivisione; ognuna vuole un uomo, quell’uomo che crede suo. Le tre donne misurano il palco – uno – in tre percorsi che lo suddividono verticalmente, creando i loro mondi destinati, scopriremo, a coalizzarsi: loro obiettivo è la perentorietà del maschio uno e trino, quindi loro Dio e despota dei loro desideri. In realtà, a ben vedere, il senso ultimo del rapporto uomo-donna (forse troppo stilizzato e netto) qui è sorprendentemente capovolto: non è l’uomo diviso per tre diverse donne, ma sono loro tre sembianze di donna che l’uomo vorrebbe riunite in una donna sola e per questo una sola non gli basta; secondo questo disegno l’uomo non è colpevole di trigamia o tradimento, ma di una colpa ben più grave e fondante: dar credito al vecchio detto mai smentito del desiderare, d’una moglie, che sia il giorno e la notte, guardiana del vino nella botte e insieme ebbra dello stesso elisir, che sia cioè tutto e il suo contrario.
Dove sono il rischio ed il coraggio? Aggioli sceglie di lavorare, da sempre, su canovaccio, cercando dunque terreni sempre nuovi in cui gettare semi di una creatività. La sua ricerca è dunque un sentiero sempre nuovo, per questo ignoto e irto di pericoli che si chiamano impalpabilità del cammino, deviazioni e bruschi ritorni indietro, mancanza di profondità e quindi di attendibilità del percorso. Fuori di metafora il ragionamento verte attorno alla mancanza di struttura, dichiarata dal lavoro su improvvisazione: la scelta è ostica e lascia ferite aperte in uno spettacolo che resta decisamente divertente e ben orchestrato dalle agenti di scena, ma che sconta una caduta vertiginosa quando le tre – bravissime a rintracciare caratteri credibili e sensibilmente dotate di verve – tolte dai loro caratteri in occasione dello scioglimento drammatico del conflitto, svelano il difetto di struttura e il conseguente impoverimento dello spettacolo, lasciando scoperte alcune ineleganze stilistiche che avrebbero meritato maggiore disciplina. Dunque, in conclusione, uno spettacolo godibile che potrebbe regalare di più per i valori messi in campo (eccetto la scelta musicale, onestamente fuori fuoco), ma che non convince oltre per una semplice distrazione d’origine: troppi semi nella mano del nostro contadino, confondono il lancio e li spingono verso territori lontani e malsicuri, tradendo la sperata cura per quel terreno – fertile e quanto – vicino ai propri occhi: la mano dirige i semi, le spore invece, le diriga il vento.
Simone Nebbia
visto al Teatro Arvalia (Ubu Rex II)
Roma
avrei molto da dire…
ma ripeto che è strano come
il pubblico non teatrale trovi più bella la seconda parte che la prima
e addirittura la trovi più “elegante”!
Io condivido alcune cose della critica, come però trovo quella parte molto elegante…
(magari troppo spinta in là con ellissi drammaturgiche, cosa che rimedieremo sicuramente).
Però questo spettacolo nelle considerazioni del pubblico più abituato al teatro (e della critica) e quello meno abituato, ha dimostrato a me come spero a voi, quanto il teatro allontana il pubblico nei gusti e nelle modalità!
Vediamo dove andrà a finire la vostra inchiesta…
Spero tanto in quella.