Questa recensione fa parte di Cordelia di aprile 25
«All’inizio abbiamo parlato», tema «cos’è l’amore». Poi una fuga, fermata dal mare. Come mangi il riso, la vergogna d’essere nudi, inventare una lingua perché è solo nostra questa storia. La tua nuca sul collo, starsene chiusi in stanza. E perdersi senza motivo: «È così che l’amore si disintegra?». Agathe ci parla in proscenio, a telo chiuso, con l’uomo accanto che non sa né può tradurre ciò che dice e che prova. Capiamo che: sono passati 647 giorni e 9362 sigarette, lei è «rimasta in albergo», si sente morire. Sipario. Interno, letto sfatto, viso al cuscino. Una sedia a terra, resto d’una sfuriata, una donna in nero (il lutto della sconfitta sentimentale) e un fucile da pesca che Agathe punta al petto. Non s’uccide – altre donne, convocate per un canto funebre la denudano e lavano perché torni a vivere – ma ammazza lui invece simbolicamente, tant’è: va via arrotolato in un tappeto, «è normale abbia fame?» chiede, essendo un morto non morto davvero. Terza parte. Musica, corteo d’oggetti ostentati (il fucile, una pala, un’armatura) per dire che l’uomo è seppellito, la ricerca dello sguardo del pubblico mostrando il pube stampato a mutanda, in ossequio al mito che ispira l’opera: Baùbo, che rimise al mondo Demetra mostrandosi nuda. La regista Jeanne Candel dice che tocca a noi dare senso ai segni proposti. Provo: ripudio d’una mascolinità (sociale, politica, culturale) tossica, il femminile come fertilità salvifica, la dismissione di genere del patimento emotivo. Il passaggio dalla logicità inerte delle parole alla vitalità sussultante del corpo. O una trama di dolore e rinascita. Interessante, ma non per la forma, piena di stereotipie: frontalità, frantumazione testuale, (s)montaggio a vista della scena, richiami alla platea. Tra segni da decriptare e una lunga parte in cui non c’è altro che i musicisti e le musiciste che suonano. Mi chiedo: che ce ne facciamo d’un teatro che non racconta né genera visioni ma s’adopera invece solo ad agire i meccanismi alla base di racconti o visioni? Occhio alla noia, penso citando Peter Brook: dice che qualcosa stasera non ha funzionato. (Alessandro Toppi)
Visto al Teatro Bellini. Crediti: basato sulle opere di Buxtehude, Musil, Schütz e altri materiali, regia Jeanne Candel, di e con Pierre-Antoine Badaroux, Félicie Bazelaire, Jeanne Candel, Richard Comte, Pauline Huruguen, Apolline Kirklar, Pauline Leroy, Hortense Monsaingeon e Thibault Perriard; direzione musicale Pierre-Antoine Badaroux, scene Lisa Navarro, costumi Pauline Kieffer, luci Fabrice Ollivier, collaborazione artistica Marion Bois e Jan Peters, produzione la vie brève-Théâtre de l’Aquarium, coproduzione Théâtre National Populaire, Villeurbanne; Tandem, scène nationale Arras-Douai; Théâtre Dijon Bourgogne, CDN; Comédie de Colmar – CDN Grand Est Alsace;Festival dei Due Mondi, Spoleto; NEST Théâtre – CDN de Thionville -Grand Est; Théâtre Garonne, scène européenne – Toulouse