Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 25
All’ingresso in sala la luce è accesa fra le poltrone e così resterà per tutto il tempo della messinscena, non serve indurre un’immersione identificativa ove tutto ciò che accade è così connaturato in noi da essere ben prima e ben dopo di noi. Il sipario è aperto, sul fondo bruno campeggiano avanzate sull’asse retto orizzontale e frontale alla platea undici sedie, nere come gli abiti essenziali degli interpreti che sono già in scena, in movimento. Singolarmente, in coppia o più numerosi cominciano a comporre nuclei di azione o meglio sarebbe dire di pre-azione, avendo come l’impressione che quella dinamica sia un modo e un moto necessario a preparare non solo loro, ma noi pure, al travalicamento dimensionale che trascina i fatti, le vicende, la storia, il mito fuori dal respiro corto in cui succedono, successero o succederanno per effonderli in un vortice il cui soffio potente e infaticabile li rivuole sempiternamente umani, ad agitare i corpi tra gli impulsi muscolari e la costruzione dei riflessi energetici messi in forma dalla visione, a plasmare le voci tra il diaframma e la cassa di fonazione della bocca. La drammaturgia che Gabriele Vacis ha composto con i ragazzi del PEM vede la tessitura di nuclei tematici e parole dette affiancata da una partitura suggestiva di suoni e canti. La presenza dei singoli (intendendo in questo modo l’unità di intenzione, azione, corpo e voce), si riverbera costantemente in quella del gruppo, un coro che si struttura a schiera o a cerchio e si vuole utile a ricalibrare una percezione di comunità, di società civile o forse di civiltà sociale, disseppellendo il filo che lega Eteocle e Polinice al Vietnam o al Donbass, Melanippo a una Beretta 92 FS. Come se la vacuità degli occhi di ciascuna morte sopraggiunta in battaglia, sia essa una battaglia bellica o esistenziale, potesse servire a domandarci se non sappiamo sottrarci al conflitto, se ci consegniamo e rimaniamo in guerra o se la guerra non sia in noi cui non resta, qui ed ora, che affermare che siamo vivi. (Marianna Masselli)
Visto al Teatro Comunale Lucio Dalla: Ispirato alla tragedia di Eschilo drammaturgia di Gabriele Vacis e PoEM con le attrici e gli attori di Potenziali Evocati Multimediali: Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Lucia Corna, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera regia di Gabriele Vacis
scenofonia e allestimenti Roberto Tarasco cura dei cori Enrica Rebaudo fonico Riccardo Di Gianni produzione PoEM Impresa Sociale con Artisti Associati Gorizia, Fondazione ECM Settimo Torinese