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IL SOGNO DI UNA COSA (di e con Elio Germano e Teho Teardo)

Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 25

Foto Davide Agostini

Una linea retta interseca il tempo e collega gli anni del dopoguerra al presente; la ciclicità degli avvenimenti con le sue urgenze si rinnova e i tre ragazzi del romanzo, il primo, di Pasolini ci parlano dei tanti e tante che oggi attraversano la rotta balcanica. Elio Germano e Teho Teardo adattano teatralmente Il sogno di una cosa in un concerto, anche se sono solo loro due gli autori e gli interpreti nella scena spoglia. La molteplicità dei punti di vista, da quelli dei protagonisti Nini, Milio ed Eligio, si allarga a quella corale dei paesi friulani dai quali provengono e che attraversano per giungere poi in Jugoslavia. La voce narrante di Germano e la sua corporeità diventano strumenti risonanti le parole e i loro significati, amplificati dalla tessitura sonora di Teardo, la quale riecheggia nelle note della chitarra, si amplifica negli echi elettronici e si eleva nel tintinnare delle campane. La “cosa” in cui si sogna è la rivendicazione politica contro l’oppressione, la fede in un comunismo, quello di Tito, nel quale si voleva riporre fiducia per scoprirne poi l’illusione idealistica, fiaccata dagli stenti e quindi anche dalla morte. La riconosciuta sapienza artistica di Germano e Teardo, la loro coerenza politica nelle scelte finora compiute, in questo caso purtroppo non riesce a sostenere la dimensione teatrale sia nella recitazione – che non suscita empatia tanto che si fatica a “credere” in quel neorealismo del racconto e i registri e le tonalità con cui viene detto spesso si uniformano in una sola monotonia – sia nella drammaturgia musicale, poco complementare al testo e che, soprattutto nei passaggi più virtuosistici, lo sovrasta. Tuttavia, prevale l’intento di far risuonare la tensione giovanile e l’ingiustizia storico sociale: un moto d’animo e politico, lo stesso che spinge le nuove generazioni di migranti ad andare fuori a scegliere il cambiamento, personale e collettivo. Del resto, non sono proprio i migranti i veri rivoluzionari? (Lucia Medri)

Visto a Spazio Rossellini: Liberamente tratto dal capolavoro di Pier Paolo Pasolini. Una produzione Pierfrancesco Pisani per Infinito Teatro e Argot Produzioni. In coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana. Con il contributo di Regione Toscana.

Cordelia, marzo 2025

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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