Questa recensione fa parte di Cordelia di gennaio 25
Un’esplosione energica, accattivante e affascinante tra la vanità di un divismo in bianco nero e il glitch postmoderno. Il solo di Vittorio Pagani, Superstella, che è ancora uno studio, è libero e appassionato: le idee presentate sono tante, forse troppe, potrebbe metterne a fuoco alcune sacrificandone di altre, tuttavia con una predisposizione alla forma ipertestuale riesce a presentare una giocosa e leggera invettiva sull’atto creativo quando questo diventa atto produttivo. Curioso scorgere come il pensiero teorico, sistemico anche, di un artista emergente si fonda, o meno, con quello coreografico. I due aspetti sembrano ancora muoversi in parallelo ma confidiamo che, rimaneggiando alcuni passaggi – come quando legge cosa diventerà in una scansione futura di anni – possano confluire in una partitura più autonoma. Il compito non è però dei più semplici: Pagani sembra voler rispondere alla domanda “cos’è una stella?”, che risposta non ha e lo sa bene. Per farlo cerca allora aiuto nel passato, nel cinema, nell’arte e nella letteratura, interrogando, in un dialogo tra il video e la danza, prima Fellini passando poi per Dante e fino a Oates, citando il cinema muto ma anche il vogueing, con balzi che uniscono secoli in un linguaggio imprevedibile che diverte. Il consiglio: non prendersi troppo sul serio coi quesiti estetico concettuali per brillare ancora di più! (Lucia Medri)
Visto a Carrozzerie n.o.t. durante la rassegna Ci-Korea Amara la danza in collaborazione con ATCL