Dove avevamo perso questo spettacolo? Un divertente racconto, scritto nel 2018, sulla cavalcata della prima candidata donna come Presidente del Consiglio. Vi ricorda qualcosa? Il Collettivo BEstand ci schiarisce le idee. Recensione
La prima cosa è il titolo: Dov’è la vittoria? Ma non si percepisce alla fine, come si potrebbe immaginare, un punto interrogativo. È una domanda, era una domanda, che ha perso la sua funzione e si è trasformata in una affermazione, attraverso la retorica che le ha sottratto forza e cognizione. Facile leggere in questo titolo, che è poi lo spettacolo del Collettivo BEstand in scena al Teatro Basilica, lo sviluppo di una vicenda tutta italiana tra gli elettori e gli eletti, quel magma indistinguibile che è la politica dai più radicali movimenti di lotta civile fino ai morbidi seggi del Parlamento. Si avverte una solenne rassegnazione nella rinuncia a quell’interrogativo, come aver ceduto lo spazio di suono a una reticenza, come aver ceduto il campo delle nostre passioni civili a una fiacca lotteria in cui nulla si vince, tutto si allontana.
C’è una donna, attende in scena ripetendo movimenti yoga immersa in una luce soffusa e in una musica ipnotica di violino, sta cercando un rilassamento ma si dubita sia per sé stessa, per la propria salute; forse i suoi movimenti sono invece una sequenza mandata a memoria di un equilibrio e una quiete da mostrare, più che da vivere. Ecco forse uno dei punti che emergono già all’inizio: la propaganda personalistica non è di per sé stessa una concessione alla non verità? O, almeno, a una post verità? La donna, colta in quel momento in cui millanta un benessere esteriore ma soprattutto interiore, si scorge poi fin da ragazza, o poco meno, quando cerca rifugio e attenzioni in un centro sociale romano dove finisce per essere respinta, malamente rifiutata, da un rivoluzionario perdigiorno che la sera prima, senza appurare che ne avesse l’età, le ha infilato la lingua in bocca. L’evoluzione che porta la ragazz(in)a Vittoria a cercare militanza nei gruppi sociali nemici dell’estrema destra, lavorando nel locale dove si riuniscono e carpendo qua e là riferimenti ad azioni, violenze, squadrismo vintage riemerso da una storia che si sperava sepolta, si sviluppa fino a inserirsi con tenacia e convinzione raggiungendo i vertici dell’attivismo, dando un ordine al caos della manovalanza politica, fissando un fine a chi giustifica unicamente il mezzo. Poi sarà la volta del compromesso, lasciare indietro i movimenti per farsi un abito parlamentare, concedersi alla lusinga del capo dei capi che la porterà fino a una poltrona di ministero.
Se per caso qualcuna/o ha colto qualche riferimento a fatti o persone realmente esistenti, non ha tutti i torti. La storia di questa donna che arriva al punto più alto del potere politico rivela in trasparenza, neanche troppo velata, la storia di Giorgia Meloni, con tanto di marito sedicente giornalista TV manovrato per copertura e linguaggio da carciofaia dei Mercati Generali. Eppure, questo testo di Agnese Ferro, Giuseppe Maria Martino, Dario Postiglione è pubblicato integro o quasi fin dal lontano 2018 (qui da ChiPiùNeArt come premio del testo vincitore del bando L’Artigogolo), quando la scalata della leader di Fratelli d’Italia non era ancora neanche immaginabile. Ma fin da allora il problema sembrò esattamente lo stesso: come rendere credibile questa evoluzione dei fatti? Come comporre una biografia che dal basso all’alto porti Vittoria ad affrancarsi dall’oscurità per splendere in questa luce che acceca tutti i suoi elettori? Così la narrazione si compone proprio di scene teatrali, i tre attori entrano ed escono dai personaggi delle sequenze biopolitiche perché si possa rendere credibile ciò che credibile non è: sembrava un gioco, sembrava teatro, ma è diventato realtà.
Martina Carpino lascia emergere nella sua interpretazione tutto il piglio e tutta l’incoerenza del personaggio, è suadente quando serve e greve quando si lascia prendere dalla passione “civile”, per dirla così, quando cioè le cose non vanno come intende lei; ad Antonio Elia e Luigi Bignone sono invece affidati tutti i personaggi che via via colorano la vicenda e la legano profondamente al presente, ruoli che interpretano con destrezza di trasformismo e ironia. Nella regia di Giuseppe Mario Martino una continua riflessione sul senso del vero quando la realtà si manifesta con tutto il suo apparato posticcio e per vero si presenta, ma soprattutto la capacità di mettere le mani in una materia difficile, pericolosamente retorica, che però emerge con rigore e puntuto sarcasmo.
Se dunque questo testo profetico mette in scena il futuro che è diventato il nostro presente, la prima donna candidata a Presidente del Consiglio, non si può non scorgere una più antica trasparenza che rimanda all’evoluzione dell’estrema destra italiana, da Mussolini in poi. La storia si ripresenta in quale forma? Davvero torna come farsa come sosteneva Marx? Oppure era farsa anche allora ma il farsesco s’è ormai fatto reale? Vittoria via via perde il suo connotato femminile, incarna il potere che, forse, non ha genere, eppure sotto il tailleur dei salotti appare a un certo punto il costume da Wonder Woman, ma questo basta a rimettere il corpo sotto il vestito? Quale dei due è l’abito e quale la divisa?
Simone Nebbia
Teatro Basilica, Roma – Dicembre 2024
DOV’È LA VITTORIA
di Ferro | Martino | Postiglione
regia Giuseppe Maria Martino
dramaturg Dario Postiglione
con Martina Carpino, Luigi Bignone, Antonio Elia
disegno luci Sebastiano Cautiero
scene Carmine De Mizio
costumi Federica Terracina
foto di scena Tommaso Vitiello
distribuzione Marta Chiara Amabile
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale | Casa del Contemporaneo