| Cordelia | gennaio 2025 

Tra le tre figlie di Re Lear, Cordelia, è quella sincera. Cordelia ama al di là del tornaconto personale. Gli occhi di Cordelia appaiono meno riverenti di altri, ma sono giusti. Cordelia dice la verità, sempre.

Cordelia è la rubrica delle recensioni di Teatro e Critica. Articoli da diverse città, teatri, festival, eventi e progetti. Ogni recensione è anche autonoma, con una propria pagina e un link nel titolo. Cordelia di gennaio 2025 è online da oggi, seguila anche nei prossimi giorni, troverai altre recensioni.

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#ROMA

INTORNO AL VUOTO (di B. Nicoletti, regia G. Rappa)

Si è soliti identificare la memoria come un’immagine di solidità retroattiva, un magma che via via si condensa e crea ciò di cui l’essere è composto; non stupisce allora come la malattia che la attacca, l’Alzheimer, somigli proprio alla progressione disarticolata di una separazione tra l’essere e i propri ricordi, come se intere parti della vita prendessero via via congedo dalla vita stessa. C’è una famiglia sulla scena di Intorno al vuoto, testo che la giovane drammaturga Benedetta Nicoletti ha consegnato alla regia di Giampiero Rappa, seguendo l’esperienza e la volontà progettuale dell’attrice Paola Giorgi, in scena assieme a Gianluigi Fogacci e Fabiana Pesce allo Spazio Diamante. C’è una famiglia che, alla comparsa dei primi sintomi di Alzheimer nella donna – moglie e madre – che tiene in equilibrio l’intero nucleo, si sfalda ma così trasforma quell’equilibrio in un nuovo ordine, accompagnando a una maturazione i componenti. Carol e Paul sono sposati da molti anni, hanno una vita tranquilla di due professionisti scientifici, in una moderna New York; Liz è una figlia che cerca la sua strada e il teatro sembra parlare la lingua del futuro, si allontana da casa perché vorrebbe la libertà di scegliere che la madre sembra negarle. Ma ecco che la malattia sconvolge una condizione in apparenza stabile, a rivelare quanto tale non fosse. Paul non accetta il cambiamento, cerca nella scienza i lumi di una spiegazione e si indurisce, Liz è spaventata ma forse è la sola che accoglie la nascente condizione, pur nel dolore diventa davvero adulta ora che si trova ad accudire la propria madre; Carol è la sola che comprende subito, sa cosa sta per accadere, cerca di dirlo finché avrà la forza e ne mantiene fino all’ultimo, per consegnare anche quell’ultimo frammento amoroso al tempo che non vedrà. La regia di Rappa, che guida attori ispirati capaci di scavare in una drammaturgia decisa, è anch’essa netta, priva di un’estetica decorativa e dritta all’obiettivo: non si scherza quando si racconta la malattia, sembra dire, ponendo imponenti pannelli con una trasparenza fosca a negare e rivelare la vicenda, così come l’Alzheimer fa con la vita dei protagonisti. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro Spazio Diamante di Benedetta Nicoletti scene Laura Benzi costumi Stefania Cempini luci Paolo Vinattieri musiche Massimo Cordovani assistente alla regia Michela Nicolai realizzato con il contributo di Regione Marche – Assessorato alla Cultura patrocinio I.N.R.C.A. Istituto Nazionale Ricovero e Cura a carattere Scientifico Premio Impronta d’Impresa Marche “le donne lasciano il segno” Camera di Commercio delle Marche produzione Bottegateatro Marche – Tf Teatro Teatro Menotti

FESTE (Familie Flöz)

Lo spaccato di una villa, la porticina al piano terra, il piano nobile, lo scantinato, la portineria; sullo sfondo il mare, lampioni, qualche pianta e tanti sacchi della spazzatura. Questa anticamera esterna, spazio di soglia che lascia intravedere squarci di vite vissute, avvenimenti festosi che fungono da parentesi rispetto alla vita quotidiana, è il palco dell’ultima opera della compagnia berlinese Familie Flöz, Feste, programmata in Sala Umberto. Feste in maschera, feste di matrimonio, obbligo al divertimento che viene contrappuntato da una inestinguibile malinconia, da una sensazione di estraneità che non si riesce ad abbandonare. Il carosello di personaggi vive nel frattempo: tra piccoli acciacchi, promesse di matrimonio interrotte, antipatie e riappacificamenti, velleità lavorative e atti di fiducia conquistata, cancelli che devono rimanere chiusi anche se poi c’è sempre qualcuno che bussa alla porta; ciascuna emozione, ciascun intento è, come sempre nel loro teatro, frutto di un lavoro sul corpo meticoloso e vivido, nonostante (o forse proprio in ragione delle) maschere dagli occhi vitrei che indossano i tre magnifici attori, in grado di rendere sfumature di senso, non detti attraverso posture precise e perfettamente comprensibili nonostante l’assenza di battute. A essere un po’ più debole, stavolta, è l’impianto drammaturgico che vede svilupparsi in parallelo le vicende della coppia in procinto di sposarsi, con la piccola squatter la quale trova riparo tra i sacchi della spazzatura della villa. Le due storie si incontrano in più punti ma senza entrare in profondità, o innescare una riflessione che possa andare oltre la comparazione delle due sorti: una in teoria felice in vista del matrimonio eppure sempre malinconica, l’altra invece vitale e sempre generosa nonostante l’indigenza. Ciò che più colpisce è il contrasto e la purezza della giovane senza casa, l’unica che effettivamente dona benessere agli altri in maniera disinteressata, senza ricevere nulla mentre gli altri sono persi nella loro rinnovata serenità, troppo solipsisti per potersi accorgere di colei che gli ha ridato vita. (Viviana Raciti)

Visto al Teatro Sala Umberto | Un ’opera di Andres Angulo, Björn Leese, Johannes Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk, Michael Vogel | Con Andres Angulo, Johannes Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk | Co-Regia Bjoern Leese | Una produzione di Familie Flöz |In coproduzione con Theaterhaus Stoccarda, Teatro Duisburg, Teatro Lessing Wolfenbüttel. con il supporto dell’ Hauptkulturfonds Regia di Micheal Vogel

#PERUGIA

I RAGAZZI IRRESISTIBILI(di N. Simon, regia M. Popolizio)

Qualche anno fa si nominava spesso – a dimostrazione della capacità “agglutinante” della lingua tedesca di coniare termini per i sentimenti ibridi o inesprimibili – la parola schadenfreude, il sentimento di piacere di fronte alle sfortune altrui. È a una simile gioiosità diabolica (addomesticata dalle convenzioni, ma così irresistibilmente radicata nel cuore di ciascuno) che si rifà la temperie scenica de I ragazzi irresistibili, adattamento della pièce del 1972, The Sunshine Boys, firmata da Neil Simon, che Massimo Popolizio governa con una regia salda e ritmica, capace di aggiornare, rispettandoli, gli schemi e i tempi farseschi del vaudeville, del quale Willy Clark (Franco Branciaroli) e Al Lewis (Umberto Orsini) sono stati, in gioventù, applauditissimi fuoriclasse. A causa di uno screzio, il duo si è infranto, consegnandoli entrambi, per decenni, a una vita lontana dalle scene, ai rispettivi rimpianti. Willy Clark sprizza ancora rancore, Al Lewis possiede un passo più lieve (e forse persino più sarcastico): la proposta di una reunion televisiva fa riaffiorare l’agonismo, le rivalse, le bizze. Sulla scena ospitale, segnata da un tratto fatiscente, di Maurizio Balò, Branciaroli e Orsini signoreggiano con maestria, con monumentale e rodata naturalezza. Il pubblico è conquistato, complice e, al tempo stesso, portato a rivolgere uno sguardo beffardo (ed ecco la schadenfreude) a questo duello in progressione – mai stereotipato – tra vedette cocciute, e ormai inermi. Eppure, il rovescio celato della derisione è la tenerezza. Vale sul palco, mantenendo la relazione tra i due sempre scattante e sempre sentimentale, vale in platea, liberando la consapevolezza di una singolare fraternità, definendo la compartecipazione, quasi consolatoria, di un destino. Freud, ne Il motto di spirito (1905), espone – come uno dei moventi del fatto comico – la “teoria della dominazione”, secondo la quale si ride per esercitare una forma di controllo sull’oggetto del riso, per esorcizzare il turbamento nel quale ci getta. Il gesto al quale siamo chiamati è quello di osservarci reciprocamente, come in uno specchio che, enfatizzando i tratti, ci restituisce il grottesco, la voragine, ma anche la grazia, la leggerezza della nostra umanità.

Visto al Teatro Morlacchi. Crediti: di Neil Simon, regia di Massimo Popolizio; con Umberto Orsini e Franco Branciaroli: e con Flavio Francucci, Chiara Stoppa, Eros Pascale, Emanuela Saccardi; scene di Maurizio Balò; costumi di Gianluca Sbicca; luci di Carlo Pediani; suono di Alessandro Saviozzi; traduzione di Masolino D’Amico; una produzione Teatro de Gli Incamminati, Compagnia Orsini, Teatro Biondo Palermo in collaborazione con CTB Centro Teatrale Bresciano e con AMAT Associazione Marchigiana Attività Teatrali e Comune di Fabriano

#RAVENNA

ALTRI LIBERTINI (regia Licia Lanera)

C'è un momento dello spettacolo in cui Danilo Giuva e Giandomenico Cupaiuolo duettano, uno dei pochi botta e risposta dello spettacolo, vera e propria jam session in cui la recitazione si fa musica. Ma potremmo citare anche la malinconia di Roberto Magnani che riesce sempre a farsi rappresentazione credibile dei mondi di Pier Vittorio Tondelli; oppure il bellissimo e potente incipit di Licia Lanera, tutto trattenuto quasi fino all'implosione ,una sorta di prologo che ci porta al 1980, l’anno di pubblicazione del romanzo. Perché è tutto nella prova attoriale questo spettacolo, non c’è colpo di regia che possa fungere da rete di paracadute, i monologhi si stagliano nello spazio, e la scrittura scenica traccia linee immaginarie tra i personaggi dei vari racconti: in questo sta l’atto più autoriale di Lanera, nel cercare un intreccio prima drammaturgico, tra le storie che compongono il romanzo e poi scenico tra le tensioni dei corpi. E dopo quell’abbrivio la regista rimane in scena con gli altri sottraendosi quasi sempre però alla presa di parola in un tentativo quasi kantoriano di abitare lo spazio, da regista interna: segue i suoi con lo sguardo, sorride, talvolta gode con loro per qualche uscita funambolica, oppure il suo volto si fa specchio di un dolore universale. Noi spettatori accecati di tanto in tanto dai fari puntati sulla platea del Teatro Rasi (tornano in mente le luci di certi spettacoli di Antonio Latella di qualche anno fa) seguiamo i racconti di poveri cristi, di amori non ricambiati, di viaggi in cui perdersi, di studenti e spiantati in lotta con l’affitto e il mondo intero. Siamo con Miro - anzi tutti siamo stati Miro - abbandonato sull'autostrada da Andrea, il suo grande e impossibile amore. E allora forse lo comprendiamo quel bisogno di Lanera di trovare un ponte tra dimensioni lontanissime: le vite di quei malandati che negli anni ‘70 agognavano le mille lire per un panino, tra utopie, alcol, buchi e bestemmie e noi in un’epoca sterilizzata, ma in cui il dolore è ancora lo stesso, nelle stesse solitudini, forse ancora più vuote. (Andrea Pocosgnich)

Visto al Teatro Rasi. Di Pier Vittorio Tondelli  adattamento e regia Licia Lanera  con Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Licia Lanera, Roberto Magnani  luci Martin Palma  sound design Francesco Curci  costumi Angela Tomasicchio  aiuto regia Nina Martorana  tecnici di compagnia Massimiliano Tane, Laura Bizzoca  “Sono un ribelle mamma” suonata dai Sunday Beens  produzione Compagnia Licia Lanera  in coproduzione con Albe/Ravenna Teatro  si ringrazia Compagnia La Luna nel Letto Il testo “Altri Libertini” è edito da Feltrinelli

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