Questo poderoso volume di Xiao Huang, che dopo il diploma all’Accademia Nazionale di Danza ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Bologna, è uno sforzo esplorativo davvero originale sulle forme della screendance tra Europa e Cina. La studiosa utilizza i concetti taoisti di xing e xiang come metodo comparativo diacronico e sincronico tra le opere prese in esame. Ossia contesto e forme che ne derivano; ciò che sta in superficie e ciò che invece le trascende, perché esige una attenzione e una comprensione «a livello molto più alto». Se, da una parte, l’analisi è circoscritta a due mondi di pertinenza biografica della studiosa, dall’altra lo studio in qualche modo decentra le questioni della screendance dalla dipendenza del contesto storico-critico (e produttivo) statunitense. La documentazione è vasta (dalle «eroine dei dance films di fine Ottocento» alle «produzioni cinematografiche maoiste» fino a «Tik Tok») e utilmente ripartita in una cartografia capace anche di sintesi (la screendance come un dispositivo di tutela del patrimonio culturale intangibile). In conclusione, per Huang oggi appare un contesto fortemente conservativo perché spaventato dal rapido progresso tecnologico che porta con sé il pericolo di una omogeneità appiattente e globalizzante. In Cina, la tendenza è al recupero della continuità della tradizione (perché interrotta più volte, nel corso del Novecento), mentre in Europa predomina una tensione alla conservazione dell’eterogeneità culturale garantita dalle plurali identità Nazionali. (Forme (xing) e visioni (xiang): la screendance tra Europa e Cina, di Xiao Huang, Mimesis, 2024).