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ARSURA (Gruppo Nanou)

Questa recensione fa parte di Cordelia di novembre 24

Foto Daniele Casadio

Una indistinta figura appare nell’ombra che ancora permane, tra il reverbero che anticipa l’intensità di una entrante luce rossa. Appare come dal niente. Non ne percepiamo ancóra l’identità, ma la natura articolare di un corpo in azione che si muove senza centro. Più lo spazio si chiarisce vasto, e più la figura danzante diminuisce. Ma non d’intensità: solo nei rapporti fra gli schemi motori e il circostante. Qualcosa sembra con insistenza voler restare nascosto: mentre si espone e si anima al tempo dell’azione, qualcosa pensa di interporsi e disertare la presenza. Creando un bruciore, una nera tensione, un calore immerso nel buio. È Arsura del Gruppo Nanou, progettato e coreografato da Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, da quest’ultima danzato. Ha il volto coperto, annullato, o forse amplificato dentro questo costume (da lei progettato insieme a Arianna Gasparotti e Alberto Groja), che è il rovescio dell’identità, e che spiana dislivelli o asperità. Vi è, per tutto il pezzo, una continuità del movimento che impedisce qualsiasi distrazione, qualsiasi sospensione dell’attenzione: il fluire e lo scorrere, nel rosso e nel buio e nel breve blu intenso di queste luci materiche, espansioni coreografiche ben oltre la creazione della danza vera e propria, e il corpo in movimento. È anzi un decentramento del corpo come modello coreografico dominante, e un tentativo (ma è tutta la storia di questa compagnia ravennate che festeggia quest’anno il suo ventennale, e che meriterebbe davvero riconoscimento) di ammettere la molteplicità attraverso nuovi paradigmi compositivi e dispositivi scenici. L’ambiente sonoro è ugualmente una costellazione generativa, raccoglie le intense spazialità di Ryoji Ikeda, «un suono campionato di un neon rotto a firma di Roberto Rettura, confondatore di Nanou», e un brano dei Chromatics, «usato nella prima puntata della terza stagione di Twin Peaks come musica di coda» (così mi aggiorna Amico). Tutto però qui converge in quel silenzio finale, prolungato, una muta attesa che rimanda la fine, e crea una soglia temporale questa sì ferma, bloccata, spenta, ma capace di cattura. (Stefano Tomassini)

Visto alle Artificerie Almagià. Progetto, coreografie e scene Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci
luci e colori Marco Valerio Amico costumi Rhuena Bracci, Arianna Gasparotto, Alberto Groja produzione Nanou Associazione Culturale, Rosa Shocking / Festival Tendance sostegno E Production
contributo MIC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna foto Simone Telari

Cordelia, novembre 2024

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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