Attraverso una chiacchierata con i membri del direttivo Dario Aita, Elena Gigliotti, la presidente, e Alfonso Postiglione, approfondiamo l’operato di R.A.C. prima associazione di categoria dei registi teatrali
Quando incontro Dario (Aita), Elena (Gigliotti) e Alfonso (Postiglione) vengo a conoscenza di R.A.C. , la prima associazione di categoria di regist_ teatrali, un progetto organizzato, stratificato e impegnativo, di rappresentanza, difesa e tutela di cui non sapevo nulla. Legittimo non sapere e quindi informarsi, quanto è altrettanto lecito porsi la domanda del perché non si conosce un lungo lavoro di rete iniziato nel 2020 e con il quale entro in contatto, solo parallelamente, durante la scorsa edizione di Primavera dei Teatri.
Dopo una prima esperienza al Campania Teatro Festival nel 2022, R.A.C. ha proposto nella cornice festivaliera di Castrovillari un appuntamento con «“R.A.C.cordi!” format laboratoriale in cui per sei giorni quindici attrici e attori si confronteranno con tre registi su un testo comune e condiviso, un’occasione unica di dialogo orizzontale tra professionisti della regia con l’ausilio, la partecipazione e la complicità di un unico gruppo selezionato di attrici e attori». Partecipo dunque a una giornata del seminario, quella condotta da Fabiana Iacozzilli, mentre le altre sono state affidate a Stefano Cordella e Nicola Borghesi.
Resto quindi sorpresa, e manifesto questa mia incredulità a Dario, Elena, la presidente, e Alfonso facenti parte del direttivo di R.A.C di cui Barbara Alesse è vicepresidente: è vero che il laboratorio ha dato rilevanza alle questioni pratico-estetiche ma domando loro se, oltre alla comunicazione nel programma del festival, non sarebbe stato importante dare spazio anche a ciò di cui R.A.C. si occupa quotidianamente e con perseveranza da più di 4 anni affinché si possa conoscerne il lavoro: «RAC è nata in seno all’emergenza pandemica come spazio di confronto e dibattito, divenuta in seguito unica associazione di categoria per regist_ teatrali in Italia, si pone l’obiettivo di superare la consolidata solitudine della figura de_ regista_ e di promuovere una ridefinizione dei presupposti deontologici del lavoro di regia». Questi sono stati i temi sui quali abbiamo iniziato a confrontarci, sostanzialmente su cosa voglia dire organizzare la rappresentanza sindacale di un gruppo numeroso ma circoscritto di figure dello spettacolo dal vivo. Le ragioni durante la pandemia erano ben note, e ora – in un clima politicamente scosso da un inverno e primavera scorsi piuttosto accesi dal punto di vista delle politiche culturali capitoline e non solo – tornano ad essere più vive che mai e non sono le uniche a strutturarsi collettivamente.
Oltre al movimento Vogliamo tutt’altro, che come testata seguiamo dalla sua nascita avvenuta nei primi mesi del 2024, si pensi anche all’Associazione e Premio U.N.I.T.A. – (Unione Nazionale Interpreti Teatro ed Audiovisivo), di cui Elena Gigliotti quest’anno è stata vincitrice della prima edizione del premio come attrice protagonista del film L’invenzione della Neve – nato sempre nel 2020 «per promuovere la centralità del mestiere dell’attore e per valorizzare l’impatto potente e vitale che la narrativa cinematografica e televisiva, insieme a quella teatrale, può avere sulla società, tutelando al tempo stesso la parità di diritti e di trattamento, non dimenticando mai il principio “Diverse interpretazioni, uguali diritti”». Senza contare poi più ristrette ma fondamentali associazioni, reti, collettivi che sono nati all’indomani della pandemia ma che, come R.A.C., oggi ribadiscono a gran voce l’urgenza di «principi di giustizia ed equità nell’esercizio della professione e garantire pari opportunità a chiunque la eserciti». Sono organismi ibridi, intersezionali, autodeterminati e precari, come le vite di chi li anima, che, nel migliore dei casi, si uniscono per far fronte alle lacune degli organi istituzionali e sindacali, ormai obsoleti e incapaci di intercettare nuovi bisogni. Non possiamo non fare riferimento in merito all’instancabile lavoro di CLAP – Camere del Lavoro Autonomo e Precario – e Autorganizzati Spettacolo dal Vivo. Il loro operato è una risorsa, tuttavia non è semplice perché deve destreggiarsi tra cavilli burocratici e legali,ma sopratutto la pluralità e l’ndipendenza che li contraddistinguono e che ne fanno la bandiera spesso sono difficili da comunicare e l’incidenza del movimento fatica a imporsi all’opinione pubblica, a meno che non se ne fa parte, sia dal vivo che attraverso “bolle social” o si è, banalmente, “dell’ambiente”. Tuttavia, la scorsa stagione questi movimenti sono confluiti e sono scesi in piazza uniti insieme ad altre importanti realtà a livello nazionale e locale (Non una di Meno, Lucha Y Siesta) e, a dispetto di tutto, come cantava Gianfranco Manfredi, “Ma chi ha detto che non c’è”.
E gradualmente, pervicacemente, ad oggi, i soci di R.A.C. sono 70, 45 uomini e 25 donne, e il 25% circa sono under 35 (qui è possibile partecipare al censimento). Sarebbe infatti importante che la percentuale delle nuove generazioni crescesse e trovasse in R.A.C. un punto di riferimento/sportello a cui rivolgersi per qualsiasi evenienza e/o indicazione. Sul sito, vi è una pagina dedicata proprio alla consulenza legale. Quanto alla collocazione geografica dei soci, non tanto per provenienza ma almeno rispetto ai luoghi dove sembrano operare maggiormente, si trovano soprattutto a Roma e Napoli, con una buona percentuale a Milano. Per il resto, a Genova, in Sicilia e nel Friuli (stranamente scarsa la partecipazione dalle parti di Torino). «I registi più maturi sono più restii ad iscriversi a RAC, forse per non rischiare di esporsi rispetto alle situazioni produttive più o meno istituzionali per cui generalmente lavorano. C’è poca presa di coscienza della categoria, e forse politica in generale, nel teatro italiano, e c’è anche tanto svogliato interesse, paura della compromissione; ancora diffusa la tendenza che l’estetica possa essere staccata dalla politica e che entrambe non possano andare di pari passo nella precarietà delle nostre vite. Soprattutto, secondo il nostro punto di vista, da parte dei giovani. Ma siamo fiduciosi che i tempi possano maturare». Questo è ciò che emerge con più allarmismo dal confronto con Dario, Elena e Alfonso. Ed è ciò di cui si riflette sopratutto alla luce di un cambiamento paradigmatico nella regia italiana negli ultimi decenni e che loro in quanto R.A.C. hanno programmaticamente inserito nel loro documento identitario: «era un teatro che poteva disporre di grandi mezzi finanziari e molta libertà d’azione. Ma a seguito di un processo di burocratizzazione dei palcoscenici che ha sempre più limitato la libertà creativa del regista, è stato probabilmente l’anno 2008, con la crisi economica ad esso legata, a porre uno spartiacque definitivo tra il teatro di regia e un “nuovo” teatro. È nata così una nuova classe di registi che ha dovuto reinventare – spesso cercando a fatica di riadattare modelli esteri impraticabili in Italia – la propria professionalità».
Consapevoli della situazione attuale, e di uno spostamento dal modello verticistico, maschile e paternalistico del regista novecentesco a uno orizzontale e collettivo, nel manifesto etico di R.A.C. viene evidenziato a chiare lettere che: «R.A.C. promuove l’idea di un_ regista non solo come portatore/trice di diverse e originali visioni artistiche, ma che sia anche connettore tra gli enti, le imprese e tutte le professionalità che collaborano alla produzione artistica, siano esse cast artistico (interpreti, performer, danzatori/trici, musicist_, ecc.), team creativo (drammaturgh_, coreograf_, scenograf_, assistent_, costumist_, light designer, sound designer, ecc.) o team tecnico (maestranze). R.A.C. propone al_ regista una posizione di mediatore/mediatrice sensibile nei rapporti tra produzione e compagnia». E affrontando le tutele del mestiere «R.A.C. promuove e sostiene un rapporto tra produzione e regista fondato sul principio della trasparenza. In quanto principale responsabile dell’opera prodotta, il/la regista dovrebbe essere a conoscenza del budget di produzione da poter investire nell’allestimento dell’opera e nella scelta da collaboratori/trici. Tale conoscenza dovrebbe ritenersi essenziale per l’esercizio della professione de_ regista e in quanto tale non dovrebbe essere negata dai soggetti produttori». A rileggerli appaiono come principi basilari e “scontati”, ascrivibili e adattabili ad altri settori ma la situazione della comunità artistica, in tutte le sue forme e professionismi, non è affatto data per scontata e lo testimoniamo i movimenti in atto che cercano di organizzare una rivendicazione strutturale, capillare e onnicomprensiva perché per anni, secoli, tutele e welfare non hanno riguardato il mondo dell’arte; e non si parlava di certo di mancanza di equità di genere e abuso (vedi l’operato di Amleta).
Quali sono gli impegni attuali e i passi futuri di R.A.C.? «Siamo molto impegnati nel campo delle tutele della categoria. In particolare, al momento, ci stiamo occupando, interloquendo con SLC-Cgil, del rinnovo del Contratto Collettivo dei lavoratori dello spettacolo dal vivo, con la possibile novità storica dell’inserimento della figura del regista. Inoltre, stiamo lavorando anche a favore del riconoscimento e gestione del diritto di regia, collaborando con SIAE. Mentre per la futura tappa del laboratorio Raccordi, saremo a Roma a luglio 2025 nella programmazione di Sempre più fuori, con la direzione artistica di Antonino Pirillo e Giorgio Andriani, prodotto da Cranpi in collaborazione con Accademia Tedesca Roma Villa Massimo e Goethe-Instituti».
Siamo immersi in un frangente storico detonante, un vero e proprio punto di svolta in cui, crollati i punti di riferimento statali e istituzionali, è il presidio militante, le persone riunite e mobilitate nei territori a fare la differenza e ad attivare le politiche attraverso le estetiche, per avere voce in nome della riconoscibilità di diritti inalienabili.
Lucia Medri