Dal 30 settempre al 13 ottobre si è tenuta la rassegna internazionale di teatro di figura Incanti, nella Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino. Un ragionamento sul teatro per l’infanzia.
Un nugoletto allegro e rumoroso di bambini esce di corsa dalla sala grande del Teatro dei Ragazzi di Torino per farsi firmare le copie dei libri illustrati dal veronese Gek Tessaro, che ha le mani tutte sporche di nero. Pochi minuti prima, quelle abili mani erano immerse in sabbia, inchiostri e acrilici, per realizzare, al ritmo di filastrocche, le sfolgoranti storie di animali liberi in natura. Libero zoo è un momento di luminosa gioia, una magia che si compone di un disordinato groviglio di colori che la fantasia armonizza nelle forme di ecosistemi intatti, abitati da figure straordinarie benché reali. Al buio interrotto dalla proiezione della lavagna luminosa, che è la finestra sulla fantasia di Tessaro e sulla meraviglia degli spettatori, si sollevano le voci incuriosite e impazienti dei più piccoli, intenti a capire o anticipare i disegni del cantastorie. Elefanti, tigri, scimmie, rinoceronti, pesci e balene prendono vita anche perché c’è chi nel buio li riconosce e li nomina a gran voce; eppure tutto esiste a prescindere dalle nostre capacità immaginative: così Tessaro ricorda e avverte con gentilezza il bambino seduto, divertito ed emozionato, che «il mondo non è tuo». Difficile che il piccolo tiranno seduto in platea lo capisca da solo: è nella natura del bambino pensare che ogni cosa sia sua.
Ritornando nel luminoso foyer del Teatro, ai suoi spazi ampi eppure accoglienti, colorati da locandine e libri da leggere con i genitori nelle lunghe attese, e le bellissime, tanto belle da catturare lo sguardo e non liberarlo più, produzioni di Emanuele Luzzati: uno spazio astratto con un potenziale trasformativo notevole, poiché i limiti sono dati dal tipo di relazioni che si realizzano sul momento. I piccoli spettatori corrono, siedono sulle poltrone a piedi scalzi, ricordano ciò che hanno visto. Ma lo sguardo dell’estraneo è crudele. Una domanda serpeggia spontanea. Libero zoo segue un doppio percorso narrativo, dal momento che i bambini sono concentrati nel percorrere le strade della meraviglia, mentre gli adulti sanno cosa si cela dietro i colori: quanti genitori diranno ai figli che quando saranno grandi molti degli animali rappresentati non esisteranno più? Il teatro che contempla la presenza dei più piccoli, dai tre ai quattordici anni, è un teatro a tutti gli effetti comunitario e fortemente partecipato; inoltre è scandito da un tempo sempre presente perché si anima di immaginazione che trova sfogo naturale in domande ed esclamazioni spontanee, in sensazioni difficili da contenere. C’è uno scambio di informazioni, oltre che di emozioni, da protrarre finché la curiosità vive.
Nel ’69, su un numero dei Quaderni Piacentini, il pedagogista Elvio Fachinelli traduce il Programma per un teatro proletario di bambini di Walter Benjamin; un brevissimo passaggio fa così: “L’educazione del bambino esige: che si afferri l’intera sua vita. L’educazione proletaria esige: che si educhi in un territorio circoscritto.” L’aggettivo accanto alle parole teatro ed educazione potrebbero trarre in inganno: che non si pensi che si scriva di qualcosa di ormai passato. È molto semplice: il bambino ha bisogno di uno spazio dove poter essere sé stesso e creare, senza lo sguardo moraleggiante dell’adulto. Lo spazio a Torino c’è. Quando nel 2006 viene inaugurata la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, si porta a compimento una lunga operazione di sperimentazione educativa e teatrale iniziata alla fine degli anni ’60, e che aveva tra gli obiettivi quello di connettere al centro della città i quartieri più periferici che, almeno fino ai drammatici eventi recenti che hanno coinvolto Mirafiori, avevano un’impostazione sociale e culturale ben delineata. La Casa del Teatro fa parte di un processo di riqualificazione, iniziata nel ’95, che ha coinvolto la cabina di trasformazione elettrica Sebastopoli nel quartiere di Santa Rita, realizzata nel 1927 per distribuire energia alla zona industriale e per l’alimentazione dei tram. Le ampie vetrate che delineano le forme dello stabile, gli ambienti spaziosi e liberi, le due sale teatrali, producono un flusso continuo di passaggi e incontri sempre nuovi, come se fosse un’eterna sorpresa. La rassegna di Teatro di figura per adulti Incanti, fondata nel ’94 dalla Compagnia Controluce Teatro d’Ombre, è una delle manifestazioni più prestigiose che vengono accolte negli spazi luminosi del teatro. Da trent’anni si pone l’obiettivo di raccontare il presente sfruttando lo sguardo ulteriore degli oggetti, che diventano protesi della coscienza e della presenza nel mondo.
Nella sala piccola della Casa del Teatro, delle sculture di carta attendono di prendere vita sotto le mani coinvolgenti di Silvio Castiglioni. Parallelepipedi di carta, azzurri o bianchi o dorati, grandi poco più di un palmo di mano, con pochi segni a qualificarne il ruolo nella rappresentazione. Corpi a cui l’espressione è concessa, in questa trasposizione dei Persiani di Eschilo, realizzata con la compagnia I Sacchi di Sabbia. La tragedia più antica della storia prende il corso su due tavoli per essere osservata da lontano, nella sua complessità, per diventare idea. I corpi, accolti e accompagnati da Castiglioni, raccontano la guerra; sospinti lentamente in avanti, parlano dell’attesa e della morte, parlano della disperazione della sconfitta e si appellano alla vergogna della vittoria. Spiriti, idee. La mancanza di giovani in sala fa calare il dubbio su un lavoro tanto suggestivo ed elegante. L’avrebbero capito o realmente gradito? Portare qualcuno che ancora non ha un posizionamento nella realtà, a ragionare del presente per via di idee, può bastare? Lo stesso vale per i più piccoli, però con più urgenza: davvero è sufficiente parlare al bambino per via di idee ordinate da una mente adulta che non restituisce la confusione e complessità percettiva dell’infanzia? En attendant Kyoto è la suggestiva installazione sonora del compositore belga Max Vandervost, e può essere un esempio calzante. Il musicista è posizionato all’interno di una piccola architettura aperta realizzata da coppie di canne legate alla sommità e inserite in grossi contenitori di plastica, in cui sono inseriti oggetti di uso quotidiano. Alla sommità legata delle canne, sono sospesi dei cubi di ghiaccio all’interno dei quali sono intrappolate delle sfere di gomma: quando le sfere si libereranno, andranno a cadere nei contenitori producendo dei suoni. Vandervost accompagna l’ineluttabilità di eventi incontrollabili suonando strumenti realizzati con materiale di riciclo. Attorno alla costruzione i bambini osservano meravigliati e rapiti, incuriositi di cogliere quale suono verrà prodotto. I riferimenti al Protocollo di Kyoto o alle implicazioni climatiche ovviamente non possono essere colte se non grazie ai genitori.
Ancora: i piccoli spettatori per poter cogliere l’elemento essenziale della rappresentazione sono legati all’attenzione e alla cura dell’adulto. Ma non potrebbero essere più indipendenti? Sarebbe innovativo se il bambino si trovasse davanti ad aspetti della realtà per lui immediatamente riconoscibili, poiché plasmati direttamente sulla sua sensibilità e non su quella degli adulti. Sarebbe maggiormente coinvolto, sarebbe in conflitto con quello che ha davanti, e non sarebbe sua prerogativa provare esclusivamente meraviglia. Il bambino dovrebbe capire e non essere indirizzato da uno sguardo altro rispetto il suo. L’idea della vita piuttosto che il racconto della vita stessa, della società e del tempo, rischia di schiacciare il suo senso critico, per cui non ha davvero un confronto col mondo visto che si limita a guardare o ascoltare. Allora prenderebbe avvio il processo educativo di crescita e di orientamento. Questo tipo di attenzione potrebbe dare un’ulteriore profondità anche alle narrazioni; ciò che viene raccontato ne acquisterebbe in profondità, e forse anche di inventiva. Five Lines, della compagnia svizzera Frau Trapp, è un racconto distopico, destinato per di più ad adolescenti, realizzato con lo strumento del micro-cinema-teatro. Su uno schermo vengono proiettate le vicissitudini di un gruppo di amanti e amici, sviluppate in presa diretta da dei modellini; ciò che è legato alla realtà e alla realtà possibile è in scala, mentre il distopico è esclusivamente in video. In un mondo prossimo al collasso climatico, i cittadini vengono manipolati dai poteri politici e dell’informazione con lo scopo di limitarne le libertà. L’utilizzo del mezzo tecnologico può avere degli aspetti affascinanti, soprattutto perché soddisfa la curiosità di vederne il funzionamento. La curiosità però non risolve i limiti narrativi che lo strumento presenta in quel contesto; la grammatica del cinema, cioè quella del montaggio, è difficilmente compatibile con i tempi e gli spazi reali del teatro: se una sperimentazione visiva non produce un racconto comprensibile in tutte le sue parti, ottiene solo il risultato di lasciarsi guardare. Detto questo, la realtà ha un potenziale immaginifico molto più radicale di un semplicistico racconto distopico che ha la pretesa di raccontare quella stessa realtà. Lo spazio, l’abbiamo visto, c’è. Adesso lasciamoli più liberi.
Valentina V. Mancini
Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, Torino- Ottobre 2024
I PERSIANI
In co-produzione con I Sacchi di Sabbia
Con Silvio Castiglioni
Spazio scenico, oggetti e regia I Sacchi di Sabbia
Traduzione dal greco Francesco Morosi
Voce Marina Molopulos
Sound designer Gianmaria Gamberini
Produzione Celesterosa
FIVE LINES
Sceneggiatura Matteo Frau, Natalia Barraza, Mina Trapp
Direzione Natalia Barraza
Interpretazione e manipolazione Matteo Frau, Mina Trapp, Sebi Escarpenter, Ariel F. Verba
Miniature, scenografia e costumi Mina Trapp
LIBERO ZOO
Testi e immagini Gek Tessaro
Regia Gek Tessaro, Lella Marazzini
EN ATTENDANT KYOTO
Di e con Max Vandervost
Con il sostegno di Wallonie Bruxelles International