Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio 24
Da qualche tempo, Cristina Kristal Rizzo riflette sul dispositivo per eccellenza della affermazione di ogni potere: il monumento. Ne ha già fatti 3, e rispettivamente prendono di mira, e buttano giù dal piedistallo: 1° (con Megumi Eda) l’individualismo iperproduttivo neoliberale, cui contrappone un corpo ipnotico e alterato; 2° (con un quartetto) la storia come linearità temporale di discorsi escludenti, cui contrappone lo spettacolo che resta in ombra; 3° (con Diana Anselmo) la logica della sintassi fonocentrica e il predominio dell’ascolto, cui contrappone nuove modalità di comprensione. A Operaestate ho (ri)visto il secondo episodio, che ha in scena, Marta Bellu, Jari Boldrini, Sara Sguotti e Violetta Cottini. Il tempo ha dimensione immateriale e per molti versi soggettiva, ed è difficile da concettualizzare, ma ancora più difficile da visualizzare: ma Rizzo ci riesce. E non è un caso che, il tema del tempo, del suo scorrere ineluttabile, della sua memoria, sono oggi temi strategici nella performance contemporanea. Quella di cui si parla qui è la prospettiva invisibile della temporalità: come il danzare fuori luce; una gestualità in perdita di significato, come nello spalmare d’olio i corpi puramente esibiti; oppure nell’eseguire le routine più iconiche su brani pop ed electropop, e poi ritrovare infine, nella seconda parte, una coralità più quotidiana e distesa non priva di difficili contrasti. In sintesi, Rizzo propone una nuova concezione di storicità. Qui contano le ombre che esitano alla luce come anacronismi in cerca di memoria, i ritorni musicali come retrotopie che progettano il futuro, eccedendo il «mondo della vita» dal quale sono stati generati. Qui anche molto conta l’elaborazione sonora live ricca di rumori e scoppi (spari? bombe?) disposta in diretta da Rizzo stessa (che comunque riserva per sé un ingresso solistico su palco, danzato a cerniera fra le due parti della performance, pieno di glamour nel costume e di linee ben distese nei movimenti). E il disegno luci, ma vorrei scrivere, senza sarcasmo, disegno del buio di Gianni Staropoli. Dopo il finale, un omaggio, inatteso, a Steve Paxton, al suo Bach di Glenn Gould, e al suo sapere improvvisativo: il tempo di due variazioni Goldberg, prima dell’improvviso black out. (Stefano Tomassini)
Teatro Remondini Bassano, Operaestate Festival. Concept, coreografia, costumi Cristina Kristal Rizzo, Danza Marta Bellu, Jari Boldrini, Sara Sguotti e Violetta Cottini, Elaborazione sonora live Cristina Kristal Rizzo, Disegno luci Gianni Staropoli, Collaborazione teorica Lucia Amara e Laura Pante, Creative Producer Silvia Albanese, Produzione Tir Danza